IL CASTELLO
estratto da: “La vita Millenaria di Ancona” di M. Natalucci
Nella Piana dei Ronchi, forse così detta dal terreno sassoso e sparso di piante selvatiche che crescevano nel terreno paludoso, esisteva già nel sec. XI, sulla destra dell’Esino, un piccolo castello o fortilizio con un’alta e robusta torre a 4 km. dal mare, per protezione del luogo, quasi solitario, contro le eventuali aggressioni di predoni e bande armate.
Esso probabilmente apparteneva al noto Monastero di S. Lorenzo in Castagnola, che possedeva castelli, terre e chiese lungo le due sponde dell’Esino e altrove.
Nel corso del sec. XIII, durante il tremendo conflitto tra il Papato e Federico II di Svevia e le lotte implacabili tra Guelfi e Ghibellini, la torre dei Ronchi venne ceduta dal Comune di Ancona, che estendeva la sua giurisdizione fino all’Esino, ai Conti Ferretti, esperti nelle armi e di nobile famiglia alsaziana, imparentati con i Granduchi d’Austria e venuti in Italia per offrire il loro braccio al Papa Gregorio IX. (Secondo l’albero genealogico di casa Ferretti, Pietro diede inizio al ramo di Castelferretti, detto anche di S. Domenico, mentre il fratello Corrado a quello di Via del Guasco)
Risulta che primi signori della torre fossero i fratelli Pietro ed Oliverotto…
Da un documento del 1252 si rileva che Antonio, figlio di Pietro, era tenuto in molta considerazione come valoroso uomo d’armi. A riconoscimento dei preziosi servigi prestati alla Chiesa e al Comune di Ancona, la fortezza dei Ronchi, per circa un secolo e mezzo, rimase affidata ai Ferretti, che estesero all’intorno i loro possedimenti…
Anche nel sec. XIV, mentre infuriavano le lotte di parte e gli audaci condottieri con le loro truppe prezzolate cercavano di accrescere la propria potenza, i Ferretti continuarono a difendere il territorio, mantenendosi fedeli alla Chiesa. è presumibile che, anche quando il card. Albornoz venne a riconquistare e a riordinare lo Stato ecclesiastico, lasciò indisturbati i Ferretti nei loro possessi in considerazione della loro fedeltà.
Nel 1382, mentre la Chiesa era dilaniata dallo scisma e Luigi D’Angiò, d’intesa con l’antipapa Clemente VII, prendeva possesso della Marca, la fortezza dei Ronchi fu sottoposta a gravi minacce. L’esercito francese si accampò nei pressi della Rocca di Fiumesino e mise a ferro e fuoco il territorio circostante, costringendo le popolazioni terrorizzate a fornire viveri e altri mezzi, mentre Luigi D’Angiò minacciava di assalire Ancona, se non avesse ceduto la Rocca papale di S. Cataldo e sborsato una forte taglia in denaro. I miseri ed inermi abitanti di Fiumesino cercarono rifugio nella torre dei Ferretti e a stento riuscirono a respingere le truppe avide di bottino.
Fu quella certamente una grande prova per il piccolo fortilizio, che non era in grado di far fronte ad una moltitudine affamata e inferocita…
Francesco Ferretti, uno dei personaggi più illustri della famiglia, come capitano e uomo politico, ottenne allora da papa Urbano VI, tramite il card. Andrea Bontempo, Rettore della Marca, la facoltà di ampliare e ammodernare il vecchio bastione in modo da poter adeguatamente provvedere alla difesa del territorio e delle popolazioni, secondo le nuove esigenze di carattere militare.
Il Ferretti, lasciando in piedi e restaurando l’antico fortilizio, che sorgeva nell’angolo di nord-ovest, fece costruire la vasta mole del nuovo castello in forma quadrata con profonde mura a controscarpa – così si esprime lo storico della famiglia Francesco Ferretti nella Pietra del paragone (1685) – e un’ampia e capace fossa da riempirsi in caso di necessità.
Negli altri angoli furono elevati tre torrioni, muniti di merlature, camminatoi, ponti e feritoie. Un’altra torre fu eretta sopra il ponte levatoio con le relative saracinesche.
Il Ferretti, a ricordo di questa costruzione, fece incidere sopra l’arco d’ingresso lo stemma del suo casato, aggiungendo al cimiero il leone, che tiene nelle branche il giglio e la spada, insegna che gli era stata concessa dalla Repubblica fiorentina per le benemerenze acquistate come Podestà nel 1374.
Inizialmente lo stemma dei Ferretti era formato da uno scudo con due bande rosse in campo d’argento, sormontato dal cimiero con al centro una trota. Successivamente da Francesco Ferretti fu aggiunto il leone e nel XVI secolo allo scudo venne accollata l’aquila bicipite imperiale e quindi per concessione di Pio IX furono aggiunte due chiavi con la basilica Pontificia.
Altre varianti furono apportate negli ultimi tempi dal duca Ferretti che sotto lo stemma pose una lapide con la seguente iscrizione:
HOC CASTRUM FACTUM FUIT
PER NOBILEM ET MAGNIFICUM MILITEM DOMINUM
FRANCISCUM DE FERRETTIS DE ANCONA
MCCCLXXXVI
Le caratteristiche della rocca corrispondevano naturalmente alla architettura militare del tempo, soprattutto per quanto riguarda i vari ordini di feritoie o piombatoi, che appaiono nei quattro lati dell’edificio e nel punto d’innesto delle torri. Rimangono ancora le tracce delle merlature, che coronavano l’intera costruzione e che furono soppresse nelle successive trasformazioni.
E’ il caso intanto di notare che mentre Ancona, nel 1382, dopo la triste esperienza fatta con Luigi D’Angiò, distruggeva, a furore di popolo, l’imponente e artistica rocca di S. Cataldo, provvedeva a breve distanza alla ricostruzione della rocca di Fiumesino per la difesa dei suoi confini e consentiva ai Ferretti di costruire un proprio castello.
Francesco, condotta a termine l’opera, chiedeva a Bonifacio IX il riconoscimento ufficiale della sua signoria, tenuta già di fatto dalla sua famiglia. Il Pontefice, anche in segno di gratitudine per la fedeltà dimostrata da tutta la famiglia alla Chiesa, gli concedeva nel 1396 l’investitura col titolo di conte di Castelfrancesco, che i suoi eredi mutarono in Castelferretto o dei Ferretti. Si costituiva così un feudo indipendente dalla giurisdizione del Comune di Ancona, sotto l’alto dominio della Chiesa.
Nel castello era stata costruita una cappella dedicata a S. Andrea, titolo che già aveva una delle chiese appartenenti al Monastero di Castagnola, oltre l’Esino. Con la Bolla del 17 agosto 1397 Papa Bonifacio IX erigeva in parrocchia il territorio dei Ronchi, sotto il giuspatronato dei conti Ferretti.
Alla morte di Francesco Ferretti, la contea passò ai suoi eredi, cioè ai figli Liverotto e Francesco, e ad evitare che gravi dissensi sorgessero fra i numerosi rampolli, venne scelto ogni sei mesi un governatore del castello e capitano delle milizie, il quale era eletto da un consiglio di famiglia di cui facevano parte i maggiori ai 25 anni.
Il castello dei Ferretti divenne un sicuro rifugio e un valido mezzo di difesa in tutte le lotte che si svolsero nel sec. XV, soprattutto durante l’invasione di Francesco Sforza, che aveva posto la sede della sua signoria a Jesi, e nelle sanguinose contese fra gli altri condottieri del tempo, come Sigismondo Malatesta e Federico di Urbino. Gli stessi Ferretti se ne avvantaggiarono nei gravi contrasti, che ebbero luogo con le famiglie Fatati, Pisanelli e Vigilanti di Ancona, quando un Pietro Ferretti, figlio di Liverotto e fratello del Beato Gabriele dell’Ordine dei Minori Osservanti, favorito dall’antipapa Giovanni XXIII, fu eletto Vescovo di Ancona.
Il Ferretti, osteggiato dal Comune della città, che sosteneva il Vescovo legittimo Vigilanti, poté prendere possesso dell’Episcopato, temporaneamente, per l’intervento diretto di Giovanni XXIII e di Ladislao Re di Napoli. Alla fine dello scisma il nuovo papa, Martino V, per sedare le discordie tra le varie famiglie, mentre riconosceva regolare la nomina del Vigilanti, trasferiva il vescovo Ferretti ad Ascoli e riconfermava alla sua insigne famiglia i privilegi della contea.
Lo storico Leoni narra che le milizie del castello riportarono un brillante successo d’armi contro le forze di Jesi, il 13 maggio del 1513, durante la guerra per le terre di confine. Secondo Lando Ferretti, storico della città di Ancona, partecipò alla lotta anche la colonia degli Albanesi, che dimorava a Castelferretti, tendendo un’imboscata agli Esini che portavano bestiame e vettovaglie a Montemarciano.
Non è da meravigliarsi che presso il Castello dei Ferretti vi fosse una colonia di Albanesi, perché molti abitanti dell’altra sponda erano emigrati per non cadere sotto l’oppressione dei Turchi. Gruppi di Albanesi e di Schiavoni, avevano preso stabile dimora presso il Poggio, Sirolo, Massignano e specialmente Camerano. L’esodo alle volte era dovuto all’infierire delle epidemie.
Nel castello si dovettero prendere severe misure precauzionali, in occasione del passaggio delle truppe di Francesco Maria della Rovere, che era irritato con Ancona per non avere tenuto fede alle capitolazioni e per non aver pagato le taglie imposte al Comune.
I Ferretti si presero cura del territorio della contea, facendo bonificare i campi e costruire chiese, case e pozzi per i loro sudditi e alcune ville per i numerosi membri della famiglia. Stando ad una data, che ancora si legge in una vera di pozzo, nel 1504 fu eretto sull’alto di Monte Domini il vasto palazzo, ancora esistente, pur ridotto negli ultimi tempi, per incuria dei proprietari, allo stato di abbandono.
Si attribuisce all’iniziativa di Francesco Ferretti, uno dei più illustri personaggi della famiglia, vissuto tra il 1525 e il 1593, la costruzione nel borgo di un casino con due logge e con giardino e di una cappella in onore di S. Stefano, patrono dell’ordine cavalleresco
La Villa di Monte Domini richiama nelle sue forme, semplici e robuste, specialmente per le mensole sotto i tetti e lo stile delle finestre, la villa Ferretti, ancora esistente nel viale della Vittoria di Ancona e attribuita a disegno di Antonio da Sangallo, il giovane. L’edificio internamente è stato rinnovato all’inizio del Settecento con elementi decorativi tra il barocco ed il neoclassico. Secondo una iscrizione, conservata sopra l’ingresso, risulta che il 24 settembre del 1711 Raimondo Ferretti, figlio di Cesare Ferretti e Arcivescovo di Ravenna, dedicò una Cappella a S. Raimondo, di cui sull’altare esisteva una tela, recentemente scomparsa.
I rapporti con Ancona non erano sempre facili e amichevoli anche perché i Ferretti si consideravano completamente esenti dalla giurisdizione del Comune, in virtù dei privilegi concessi dai Pontefici. Le più gravi questioni riguardavano la ripartizione dei pesi camerali. Una grossa controversia sorse in proposito verso la metà del sec. XVII. La lite fu dibattuta a lungo presso la Congregazione del Governo, che riconosceva giuste le ragioni dei Ferretti. A sua volta Ancona sosteneva che aveva di fatto sempre esercitato la sua autorità sul castello e non poteva lasciarsi sfuggire i contributi di una terra che per la sua fertilità si poteva considerare il proprio granaio e che per la sua ubicazione aveva una grande importanza nei rapporti con gli altri Comuni. La causa si protrasse ancora per molti anni finché nel 1693 si pose termine alla contesa con una transazione, obbligandosi i Ferretti a pagare le imposte camerali.
Nel I760 i Ferretti rivendicarono il diritto di tenere le carceri presso il castello, custodito da un Vicario e da un presidio; nel 1765 si rifiutarono di sottoporsi alle imposte straordinarie, in base alla transazione già conclusa.
Nel Seicento le strutture del Castello subirono profonde modifiche, come si può rilevare da una rappresentazione sommaria dell’edificio, che, a titolo simbolico, è stata riprodotta in un quadro, ove è tracciato l’albero genealogico dei Ferretti. Si deve notare, a questo proposito, che già fin dal Quattrocento il Casato era diviso in vari rami, di cui il più antico e facoltoso era naturalmente quello che risiedeva nel castello. Non meno considerevoli e abbienti erano i Ferretti, a cui apparteneva il Palazzo del Guasco, costruito all’inizio del sec. XVI e ora sede del Museo nazionale.
Questi avevano le loro proprietà nel castello e nel territorio di Varano. In Ancona i Ferretti disponevano di altri palazzi.
Da quanto risulta, nelle trasformazioni del Seicento, il Castello perdette le sue caratteristiche di fortezza militare con la sopraelevazione di alcuni muri perimetrali all’altezza delle torri dalla parte di nord-ovest con la soppressione delle merlature e con la costruzione di alcune case e casette all’interno, per uso di abitazione e per altri servizi. Conservò invece sostanzialmente la sua originaria fisionomia la parte di sud-est, con i due torrioni agli angoli e la torre centrale che fu dotata di un’edicola con due campane.
Nel 1629 fu ricostruita ed ampliata nell’interno del castello la Chiesa parrocchiale.
È noto che fuori del castello, nell’aperta campagna, a distanza di circa 400 metri, esisteva una seconda Chiesa, dedicata a S. Maria della Misericordia.
Francesco Ferretti, nella sua “Pietra del paragone” ci fornisce alcune interessanti notizie sulla vita del castello, durante il Seicento: egli ci informa che le condizioni ambientali erano migliorate sensibilmente per la coltura del terreno, resa più fertile e abbondante di grani e per le arborature e per le vigne, di cui era stato ornato il colle di Monte Domini e per la fabbrica di molte abitazioni, per cui il numero dei fuochi era aumentato fino a 121 con 610 anime. Oltre alla trasformazione avvenuta nel castello ad uso degli abitanti, nei suoi dintorni si era formato una specie di sobborgo ma gran parte della popolazione abitava in campagna, che era divisa in diverse contrade, quasi tutte proprietà della famiglia Ferretti. Fino a pochi anni or sono una parte dell’abitato nei pressi del castello era chiamato il borgo. Secondo il catasto gregoriano del 1816, la Chiesa appare sita a destra, nell’interno del castello; il borgo si sviluppa specie nel lato di nord-ovest.
Nel Seicento il ramo di Castelferretti entrò in possesso del Palazzo presso S. Domenico, che precedentemente apparteneva ai Ferretti del ramo di Via Guasco, perché nel 1616 fu venduto a Pantasilea Leopardi, che si sposò con un Ferretti del ramo del castello: da allora questi furono chiamati anche i Ferretti di S. Domenico.
I Ferretti si distinsero sempre per la loro intensa attività nei vari campi, come letterati, cultori di storia, di diritto ma specialmente come esperti e valorosi uomini d’arme. Perciò nel loro castello cercavano di dare vita alle manifestazioni culturali, alla lavorazione dei campi, agli scambi commerciali e ci tenevano anche ad avere il loro gruppo di armati per la difesa e la sicurezza della popolazione e delle loro proprietà. Il castello conduceva una vita sua propria, regolata da norme speciali e da tradizioni: in occasione della Pentecoste e nei sette giorni seguenti aveva luogo una grossa fiera, con la franchigia dai dazi e dalle gabelle. (Forse la vecchia denominazione di Via della Franca derivava dalla zona destinata alla fiera franca. Nel catasto gregoriano del 1816 questa zona appare ancora disabitata e occupata dalla strada verso il mare).
La custodia era affidata ad un presidio militare di circa 100 uomini, provenienti, da varie parti e spesso irrequieti e sanguinari.
La signoria dei Ferretti durò indisturbata fino all’occupazione francese, quando il nuovo regime democratico e rivoluzionario soppresse non solo i titoli nobiliari ma anche i diritti baronali, incamerando le proprietà feudali e imponendo gravissime contribuzioni.
Risulta che Raimondo Ferretti, governatore della contea, fu sottoposto dal tribunale rivoluzionario a gravi umiliazioni e per pagare le onerose contribuzioni fu costretto a consegnare agli improvvisati padroni oggetti di grande valore.
Dopo la restaurazione, Raimondo fece del tutto per tornare in possesso dei suoi beni, aggravandosi di debiti, ma non ebbe più la giurisdizione sul castello, che dal 1816 divenne comune appodiato di Falconara, con amministrazione autonoma.
Alla morte del conte Raimondo Ferretti, avvenuta nel 1838, il marchese Venanzio Torsiani di Montemarciano, che ne aveva sposato la figlia Elisabetta, assumendo il peso degli enormi debiti contratti dal suocero, si aggiudicava il possesso della tenuta di Monte Domini, della villa, delle abitazioni del castello e del Palazzo di S. Domenico in Ancona. Molti possedimenti, dopo la morte di Elisabetta, nel 1840, furono ceduti ad altri proprietari: i conti Ricotti acquistarono Monte Domini con parecchi fondi rustici, i marchesi Nembrini una parte del castello, con altri fondi rustici.
L’ultimo erede per via femminile fu il conte Raimondo Mengoni-Ferretti, che aveva sposato Laura Martelli, di origine toscana, e possedeva una villa, a pochi passi dal castello, sulla via di Monte Domini, oggi trasformata per volontà degli ultimi proprietari, eredi del benemerito Sacerdote Mons. Serafino Sartini, in Asilo infantile.
Il Palazzo di S. Domenico, come si è detto, è stato ceduto negli ultimi tempi al Municipio di Ancona per la civica Biblioteca.
Recentemente il glorioso ramo dei conti di Castelferretti si è completamente estinto e le ultime proprietà, consistenti in alcuni fondi rustici, sono state lasciate per opere di beneficienza. Unica, ma valida testimonianza della secolare signoria, sono i resti dell’avito castello con le sue torri monumentali.
Il paese attuale, per il rispetto delle antiche tradizioni, per l’amore alla terra e al lavoro e per lo spirito di viva operosità ed autonomia, è degno erede dell’antico castello dei Ferretti, che si distinsero per il loro valore guerriero, per le loro molteplici attività e per la saggezza del loro governo.