Santa Maria della Misericordia
STORIA DELLA CHIESA
da “Un affresco da salvare”, a cura degli insegnanti L. Carrera, C. Sensini e L. Tonelli della Scuola media “Montessori” di Castelferretti, 1995
«La chiesa di S. Maria della Misericordia è posta fuori di Castelferretti, quattrocento passi circa lontano dall’abitato. Fu edificata dalli Signori Condomini di Castelferretti agli inizi del quattrocento». Nel 1610 poi, come si può leggere nell’iscrizione della facciata, fu allungata e sopraelevata, intonacando i pregevoli affreschi delle pareti, che, malgrado l’incuria e l’usura del tempo, sono stati riscoperti dopo più di tre secoli. Dai documenti risulta che questa Chiesa nel corso del XVII secolo, forse durante i lavori eseguiti in quella entro il castello, ebbe funzione di parrocchia.
Nella relazione della sacra visita, fatta dal cardinale Gian Ottavio Buffalini nel 1768, si dice erroneamente che la Chiesa della Misericordia era stata eretta nel 1584 e che non era stata mai dipinta. Invece dalle caratteristiche degli affreschi e dalle circostanze storiche appare evidente che la Chiesa sia stata costruita almeno agli inizi del quattrocento, quando, a seguito di una epidemia, si cominciò a diffondere la devozione verso la Madonna della Misericordia.
Comunque l’affresco dell’altare maggiore fu certamente eseguito nella seconda metà del XV secolo, come lascia supporre il monogramma di San Bernardino da Siena. Per quanto riguarda gli autori, alcune immagini richiamano la maniera di Luca Costantino, di cui esiste una sacra conversazione (la Vergine col Bambino, S. Ciriaco e S. Primiero ai lati) datata: 1520, nella Cattedrale di Ancona. Il titolare della suddetta Chiesa è Maria della Misericordia la cui festa si festeggia il 23 ottobre. «In detta Chiesa, però, bisogna dire che vi è indulgenza plenaria ad septemnium», il 2 aprile giorno di S. Francesco di Paola, il 23 ottobre giorno del titolare della Chiesa, il 2 novembre giorno della commemorazione dei defunti; e negli altri 7 giorni vi è indulgenza parziale.
Nella Chiesa, infine, vi sono erette la via crucis con licenza di Roma concessa il 2 dicembre 1815, e confermata il 20 febbraio 1816 dalla cancelleria vescovile eretta il 2 agosto 1816 dal P. Raffaele Giuliani di Umana, Guardiano dell’Ordine minori di Ancona. «La chiesa è a tetto in quadro di cui lunghezza sono piedi 34; grande piedi 16; alta nelle parti laterali 15 1/5».
GLI AFFRESCHI
di Pietro Zampetti tratto da “Gli affreschi di Santa Maria della Misericordia”
Assessorati Cultura e Turismo Comune di Falconara M. – 2001
Ad un esame sulla situazione della pittura nelle Marche all’inizio del secolo XV, balzano subito alla ribalta alcune scuole pittoriche, allora ben vive: quelle di San Severino, Camerino e Fabriano, tutte documentate e abbastanza conosciute anche attraverso la letteratura artistica.
Il capoluogo della Regione, Ancona, dormiva allora nel campo dell’arte sonni tranquilli, accontentandosi dei suoi traffici commerciali, oppure svolgeva anch’essa qualche attività artistica? Insomma, c’era anche lì una scuola pittorica?
Le tristi vicende vissute dalla città in modo particolarmente tragico nel corso del secolo XX hanno distrutto quasi tutto ciò che essa era riuscita a salvare dalle distruzioni tra il ‘700 e l’800 e dalle requisizioni napoleoniche.
A cambiare il volto delle chiese contribuirono i terremoti, che sul finire del secolo XVIII, interessarono tutto il crinale appenninico: antiche chiese gotiche come il Duomo di Camerino, il San Francesco di Fabriano, il San Domenico di Ancona (solo per fare alcuni esempi), sono state totalmente ricostruite, mentre il prezioso materiale mobile raccolto in esse per secoli veniva alienato o comunque allontanato per seguire il gusto del momento.
In seguito alle asportazioni napoleoniche e alla stessa occupazione dell’Esercito Sabaudo, seguito dall’annessione delle Marche al Regno d’ltalia, avvennero espropriazioni di chiese e conventi, mentre le opere d’arte ivi esistenti erano affidate ai Comuni, per dare vita a piccoli musei locali. Tuttavia molte opere andarono ancora disperse, talvolta addirittura alienate dalle stesse Amministrazioni Comunali per mettere in pari il proprio bilancio.
Durante la dispersione del patrimonio culturale avvennero addirittura incredibili offese all’unicità dell’opera d’arte: i polittici furono smembrati e i singoli pannelli alienati a musei diversi, come accaduto per quelli del Crivelli di Porto San Giorgio e di Montefiore dell’Aso, tanto per ricordarne due tra i più importanti.
Le opere requisite ed asportate nella prima requisizione napoleonica e finite al Louvre, anziché restituite ai luoghi di origine, in parte almeno, furono portate a Roma, nella Pinacoteca Vaticana: così è accaduto per l’Annunciazione del Barocci, che era nella Cappella dei Duchi di Urbino nella Basilica Lauretana; e così, con la seconda requisizione, è accaduto per la Madonna di Piero della Francesca che era ad Urbino nella Chiesa di San Bernardino, passata a Brera per iniziativa del Governo austriaco che alla caduta di Napoleone prese il governo della città.
Sfogliando l’inventario degli oggetti d’arte delle province di Ancona e Ascoli Piceno, stampato a cura del Ministero dell’Educazione Nazionale (oggi Beni Culturali) nel 1936, vi si cita, nel piccolo museo annesso alla Cattedrale, una Madonna col Bambino descritta quale “Opera della fine del secolo XIV o dei primi del secolo XV, riferibile alla scuola abruzzese”. Nello stesso inventario, a pag. 38, viene elencata nella Chiesa di Santa Maria della Piazza una tavola raffigurante San Primiano, assegnata alla prima metà del secolo XV; la scheda relativa riporta che questo dipinto è ricordato dal Crowe Cavalcaselle (History of Painting in North Italy, London, 1871), come opera di scuola umbro-senese, mentre il Van Marle nella sua Development of Italian schools of Painting, Laja 1923, 5, pag. 182, considera l’opera stessa di influenza del fabrianese Allegretto Nuzi. Prendendo visione delle passate attribuzioni su queste due opere anconetane, c’è da rimanere perplessi, in quanto inaccettabili per il contesto culturale di quelle scuole. Ma a quale dunque appartengono?
Escluse le altre scuole marchigiane ricordate, con le quali quei dipinti non hanno elementi stilistici affini, e senza lasciarci mettere fuori strada dalle influenze suggerite dai benemeriti studiosi citati, bisognerà invece, rimanere in Ancona e tener presente che qui esisteva una scuola pittorica, ancora rimasta nell’ombra, nonostante che in musei stranieri, già nel passato, venivano assegnate alcune opere ad una scuola di Ancona senza ulteriori precisazioni.
È ben noto che a Loreto, nella Santa Casa, si trovava un affresco raffigurante un’Adorazione dei Magi, opera voluta dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti ed assegnata ad Aliguccio (o Olivuccio) Ciccarelli, pittore anconetano, sembra di nascita camerinese, del quale si conosce il nome, ma del quale purtroppo non possediamo più opera alcuna. Quell’affresco è andato perduto (o nascosto), quando la Santa Casa è stata coperta dal famoso rivestimento marmoreo del `500. Di Olivuccio non si conosce altro, anche se a lui è stato attribuito, ma senza possibilità di verifiche, il San Primiano del Duomo.
Corrado Ferretti nelle sue Memorie storico-critiche dei pittori anconetani (Ancona, 1883), parla di lui e riporta per intero il contratto per quest’opera, ripreso dal Vogel, il noto ricercatore di origine tedesca, tanto benemerito per le ricerche d’archivio sulla Santa Casa.Amico Ricci (Memorie storiche etc.., Macerata 1834, pag. 184) scrive: “mi fu concesso di vedere poc’anni un contratto, dal quale ebbi a rilevare che, fino dal 1429 Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, spedì come oratore al Magistrato di Recanati un tal Pietro Pirovano milanese per poter ornare di dipingere la Chiesa… soddisfatta la sua domanda s’accordò con un Ciccarello d’Aliguzio d’Ancona, onde pel prezzo di 50 Ducati d’oro gli dipingesse l’Adorazione dei Magi “. Il documento stesso era stato in precedenza riportato anche da Monaldo Leopardi (vedi Amico Ricci, Memorie storiche, Tomo I, pag. 196, nota 9), che descrive esattamente l’affresco, le figure presenti alla scena dell’Adorazione del Bambino, addirittura citando colori e materiale usato per quell’opera.
Poiché sappiamo che lo stesso Tommaso di Bartolomeo da Foligno fece una lunga sosta ad Ancona, dove visse anche per qualche tempo Arcangelo di Cola da Camerino, si può raggiungere la certezza che Ancona nei primi decenni del ‘400 ebbe una sua scuola pittorica (destinata poi a continuare, dato che anconetano ed attivo nella città è Nicola di Maestro Antonio, ormai da considerarsi il protagonista, o uno dei protagonisti, della cosiddetta “Cultura Adriatica”).
Ad Ancona, tuttavia, manca ormai qualsiasi ricordo della propria cultura figurativa, in quanto quel poco rimasto fino allora è stato distrutto dalla guerra.
Ricordo vagamente di avere visto alla fine degli anni ’40, tra i ruderi, resti di affreschi di quest’epoca, nelle mura che appartenevano, penso, alla chiesa di Santa Palazia e ne feci poi cenno nel catalogo Antichi dipinti restaurati, Urbino, 1953, pag. 16: tra le opere da curare e conservare in Ancona ex chiesa di Santa Palazia: figure di Santi, frammentarie, risalenti al sec. XV. Dove sono andati a finire? Abbattuti, con il resto dell’edificio o strappati e finiti non si sa dove?
Ad Ancona, si ripete, mancano documentazioni pittoriche della prima metà di quel secolo, ma la memoria altrove è rimasta, perché, girando per i musei stranieri, ad esempio in quello di Zagabria (ma anche in Inghilterra), ebbi la sorpresa di vedere al dì sotto dipinti esposti, la dicitura “Scuola di Ancona”. E’ dunque essa esistita?
Penso proprio di si e per averne conferma la fortuna ha voluto che in questi ultimi anni io mettessi gli occhi su due affreschi: il primo già citato nel volumetto, qui sopra ricordato, del 1953 a pag. 18 con le seguenti parole: “Polverigi (Ancona), Residenza Comunale: la Crocifissione, affresco in parte ridipinto ad olio in epoca recente, del ‘400, con influssi padovani – Nicola di Maestro Antonio?; l’altro, a Castelferretti nella Cappella dei Conti di quella Casata.
Questi ultimi affreschi hanno uno sviluppo notevole e presentano un complesso di soggetti e temi talmente ricchi, talmente emblematici, ma anche con taluni aspetti di alto livello artistico, da richiedere una particolare attenzione, e studi approfonditi, specie dopo i restauri compiuti a più riprese, e finalmente condotti a termine con grande abilità e rispetto dei testi originali.
La parete absidale è affrescata con diverse raffigurazioni: al centro, in alto, l’Eterno che in posizione frontale, iconica, regge con le mani un Cristo crocifisso abbandonato ormai privo di vita, secondo uno schema che potrebbe ricordare, abbastanza affine ma di altra mano, il raro soggetto trattato da Carlo da Camerino. Ai lati due Angeli, a sinistra un Cherubino, a destra un Serafino in atto di preghiera, divisi da uno scomparto: sono entrambi con lo sguardo orientato al centro; inoltre a sinistra San Pietro e a destra San Paolo, l’uno con le chiavi, l’altro con la spada. L’affresco, che ha un andamento di caduta ai lati, reca poi altri elementi puramente di carattere decorativo e simbolico.
Sempre sulla stessa parete, al di sotto dell’affresco di cui si è parlato, in corrispondenza dell’Eterno e del Crocifisso, c’è la Madonna anch’essa fissa ed iconica con le braccia aperte e un nugolo di fedeli, a sinistra di sesso maschile e a destra di sesso femminile coperti dal gran manto.
Due Angeli a sinistra e a destra della Vergine le reggono sul capo una corona, mentre attorno una miriade di creature angeliche sono in contemplazione, ma insieme legati a due a due in ascetiche conversazioni.
Ciò che qui conta, tuttavia, è la qualità di queste figure che appaiono di notevole, anzi di alto valore pittorico tanto da sollecitare una analisi approfondita, perché da questa potrebbero anche uscirne fuori degli elementi tali da identificare l’origine di tutto il complesso pittorico che verrà analizzato, qui di seguito, nella sua totalità e che potrebbe rappresentare la più notevole testimonianza della scuola pittorica anconetana della prima metà del secolo, rimasta altrimenti senza tracce.
Quelle figure angeliche rivelano una mano di eccezionali qualità creative, come si deduce esaminandole ad una ad una. Mi riferisco, in particolare, a quelle a sinistra della Madonna, precisamente la seconda e la terza colte nel momento di una sommessa conversazione, i cui volti, specie quello di sinistra che si rivolge all’altro con la bocca semiaperta alla conversazione o se si preferisce al sussurro, rivela una possibilità di invenzione di immagine del tutto eccezionale. Ma anche altri gruppi sono davvero rivelatori di una cultura figurativa, tutt’altro che rozza, ma di una straordinaria raffinatezza.
L’esame delle pareti, con le varie figure di Santi, richiederebbe una descrizione capillare dei vari soggetti e delle varie raffigurazioni che risparmiamo al lettore, ma sulle quali occorre certamente dire qualcosa, perché alcune rivelano ancora una volta la presenza di una raffinata scuola pittorica, tanto dicasi per la figura femminile della parete destra, raffinata anzi aristocratica, quasi disdegnosa; quanto per la Crocifissione che le sta accanto, intensa e drammatica, affine, ma non uguale all’altra che si trova sulla parete di fondo, tanto da ipotizzare la presenza di un’altra mano, però tutti non lontani dai modi di fare di Carlo da Camerino. Osservazioni altrettanto valide possono essere fatte per le figure della parete destra, tutta una serie di Santi, peraltro molto danneggiate dall’incuria e dal tempo e quindi più difficilmente valutabili.
A quando risalgono gli affreschi della Cappella Ferretti di Castelferretti? Essi sono indubbiamente del ‘400, attorno alla metà io penso, ma per il problema di una precisa datazione, alla luce delle esperienze che abbiamo dell’arte locale, la cautela è d’obbligo. L’architettura, che presenta al dì sopra delle figure che si susseguono quasi come in un Polittico affrescato e contrapposto, rimanda certamente alla prima metà del secolo, cioè prima dell’avvento impetuoso dell’arte del Rinascimento che ad Ancona s’avvera nella seconda metà del secolo.
S’affaccia poi il problema delle influenze, intendo della Scuola cui l’artista o gli artisti attivi a Castelferretti appartengono. Infatti occorre molta prudenza nella identificazione e, a mio parere, sia pure non senza incertezze o dubbi, siamo di fronte ad un complesso pittorico a più mani, con qualche passo più o meno avanti in alcuni; voglio intendere che la nuova sensibilità umanistica affiora con evidenza maggiore in alcune parti rispetto ad altre.
Il primo impegno attributivo è quello di confrontare gli affreschi di Castelferretti con le testimonianze pittoriche delle scuole marchigiane anche territorialmente abbastanza prossime, come quelle di San Severino o Camerino (e la stessa Fabriano), in cerca di un aggancio che possa in qualche modo soddisfare il nostro interesse ricognitivo. Ma la risposta è deludente; queste pitture non hanno rapporti con gli artisti di quelle scuole, né con i Salimbeni, volendo guardare agli inizi del secolo, né con Lorenzo d’Alessandro; né infine con altri artisti di quella scuola; così come mancano riferimenti con l’ambiente camerte e con quello fabrianese.
Questi dipinti sono dunque isolati nell’arte marchigiana identificabile territorialmente tra le valli del Musone e quelle del Misa con epicentro evidentemente in quella dell’Esino, guardando poi su su fino al crinale appenninico: niente proprio da fare, siamo in una cultura diversa. Allora eccoci di nuovo a ritornare verso Ancona, discorso anche abbastanza ovvio in quanto la famiglia Ferretti era di origine di questa località, dove tuttora esiste un Castello che porta il loro nome ma che si era trasferita nel capoluogo almeno già nel ‘400 (basterebbe qui citare la figura del Beato Gabriele Ferretti, opera del Crivelli, oggi a Londra, proveniente dalla Chiesa di San Francesco ad Alto di Ancona). Dunque appare abbastanza ovvio che quella famiglia si rivolgesse a pittori locali e non a caso dunque abbiamo ricordato agli inizi del nostro esame quelle due tavole già esistenti l’una nel San Ciriaco, l’altra nella Chiesa di Santa Maria della Piazza, purtroppo frantumate e ridotte a poveri frammenti dai disastri della guerra del ’40-’45 che tanti danni irreparabili ha portato alla città ed al suo patrimonio.
La mancanza di rapporti diretti con l’arte marchigiana sollecita ad un ampliamento della ricerca verso l’altra sponda, anche per un certo fare iconico che le figure rivelano come lo è in modo estremamente evidente il Dio che regge la Crocifissione, con quella fissità iconica quasi da Pantocreator secondo la tradizione bizantina e la Madonna della Misericordia, affrescata nella parete di fondo. Ma non solo quella.
Ma anche il San Lorenzo con quel suo volto fermo, direi pietrificato, risponde ad una cultura che è molto diversa da quella che ormai si espandeva per tutte le Marche e per tutta l’Italia Centrale. Sottolineo questo particolare in quanto la Madonna della Misericordia è sempre raffigurata in modo immobile ed iconico perché rappresenta la Divinità in modo astratto, direi raggiungibile, nella sua severità; ma non tanto si può dire di altre figure che pure hanno la stessa identità iconica anche se alquanto addolcita, come avviene nella citata figura di San Lorenzo.
Tuttavia il discorso non si può concludere in modo così semplicistico, perché in effetti un esame attento porta a delle conclusioni contraddittorie: ad esempio le figure angeliche a cui si è fatto cenno ed ammirazione in precedenza, non rispondono certo a questo tipo di cultura, rivelano presenze umane valide, aperte al sentimento, al dialogo; infine ad una identità che è sola e irripetibile. Siamo dunque di fronte ad un complesso artistico sul quale bisognerà tornare con maggiore penetrazione ed attenzione. Anche gli elementi architettonici con certi elementi decorativi sovrapposti alle nicchie dei Santi laterali, sono legati al gotico fiorito, forse di origine nordica, addirittura vorrei dire veneziana. Vi sono dei dettagli in cui tali elementi decorativi si completano con la presenza vera e propria di fiori come i tulipani, naturalmente parti della decorazione architettonica. Il discorso, dunque, rimane aperto; è possibile che gli affreschi di Castelferretti costituiscano una felice contaminazione della cultura figurativa tra le due sponde e rappresentino un primo aspetto di quella insorgente cultura rinascimentale che il Longhi ha felicemente chiamato del Rinascimento umbratile.
Ciò, ripeto, porta di conseguenza ad ipotizzare la presenza di più mani e quindi, riprendendo il discorso iniziale, l’appartenenza di questi affreschi alla Scuola di Ancona, alla quale, e qui lo dico come anticipazione di un discorso che va ripreso e da me più volte iniziato, va riferito anche 1’affresco di Polverigi, raffigurante una splendida Crocifissione, di alta qualità, frutto di un’artista davvero geniale, legato alla Scuola di Ancona, ma che rivela anche contatti con il Salimbeni di San Severino, esattamente con gli affreschi dell’Oratorio di San Giovanni ad Urbino. Qui va aperto un discorso, molto acuto, cui spero parteciperanno altri critici.
I nomi di Carlo da Camerino, Aliguccio (o Olivuccio) Ciccarelli, infine di Nicola di Ancona alle sue prime esperienze, vanno tenuti presenti se si vuole finalmente far luce sulla scuola pittorica anconetana: ma siamo ancora ai primi passi e gli studi dovranno procedere con cautela, con riesami e ripensamenti, ma finalmente dovrà essere fatta luce sulla scuola pittorica anconetana che dunque non si esaurisce nella prima metà del secolo, ma lo riempie per intero, trionfando proprio con le opere più belle e più mature di Nicola di Maestro Antonio.
Prof. Pietro Zampetti
da “Gli affreschi di Santa Maria della Misericordia”
Assessorati Cultura e Turismo Comune di Falconara M. – 2001
Approfondimenti :
S.M. della Misericordia 1a Parte
S. Maria della Misericordia 2a Parte
S. Maria della Misericordia 3a Parte
https://www.iluoghidelsilenzio.it/santa-maria-della-misericordia-falconara-marittima-an/
https://www.academia.edu/12719661/Giambono_di_Corrado_da_Ragusa
Relazione sulla chiesa di Santa Maria della Misericordia a Castelferretti curata dal Dott. Matteo Mazzalupi, storico dell’arte e curatore di numerose pubblicazioni scientifiche dedicate al patrimonio storico artistico del XV secolo.
La chiesa di Santa Maria della Misericordia a Castelferretti che oggi funge da cappella del cimitero è un edificio dall’aspetto dimesso, un semplice involucro di mattoni a pianta rettangolare, con due monofore ed un portale in facciata. Sopra il portale una iscrizione che commemora un restauro promosso nel 1610 dal cavalier Cesare Ferretti, ci ricordanda subito la nobile famiglia anconetana che non solo deteneva il patronato della chiesa ma che ha dato il nome al paese stesso nato alla fine del ‘300 come luogo fortificato per volontà di Francesco Ferretti.
Pare che a costruire la chiesa siano stati appunto i conti Ferretti al principio del ‘400 e qualche decennio più tardi l’interno fu rivestito da affreschi sulla parete dell’altare e sulle due laterali. L’altezza della superficie dipinta e l’affresco del muro di fondo sagomato a capanna ci lasciano immaginare che all’epoca il tetto fosse simile all’attuale ma molto più basso, senza l’infilata di finestre che attualmente dall’alto lasciano piovere luce in abbondanza.
Alcuni affreschi sono stati strappati per salvarli dai danni dell’umidità e poi restaurati negli anni ’60 e di nuovo negli anni ’90 ed infine ricollocati al loro posto sicché oggi si presentano come grandi pannelli appesi alle pareti. Il dipinto più importante, quello che sovrasta l’altare e che richiama il titolo della chiesa è la Madonna della Misericordia, così viene chiamata l’immagine della vergine Maria in piedi che apre il mantello per proteggere i suoi devoti. I devoti nel nostro caso vogliono rappresentare in modo generico il popolo di Castelferretti diviso rigorosamente secondo il sesso, gli uomini alla nostra sinistra e le donne alla nostra destra proprio come anticamente dovevano disporsi durante le funzioni che, anche qui, si celebravano.
Due angeli sostengono il manto della Madonna, quello a sinistra con un giglio in mano, quello a destra con una mazza, il primo è certamente l’arcangelo Gabriele che annunciò a Maria l’incarnazione e che nelle immagini dell’annunciazione viene appunto rappresentato con in mano un giglio simbolo di purezza. L’altro angelo è probabilmente l’arcangelo Raffaele, non manca il terzo tra gli arcangeli maggiori Michele, che sta tra la Madonna e Gabriele, vestito di rosso ed armato di spada in quanto capo dell’esercito celeste. I tre arcangeli sono immersi in un coro di altre deliziose creature angeliche dagli abiti di vari colori che dialogano animatamente tra loro. Infine altri due angeli in volo posano una corona sul capo della Madonna a donarle il titolo mariano di Regina del Cielo.
Il quadro che sovrasta la Madonna della Misericordia doveva trovarsi subito al di sotto del colmo del tetto e contiene l’immagine che gli storici dell’arte chiamano “tronus gratie”, il trono della Grazia, che è uno dei modi più comuni nel ‘400 per rappresentare uno dei misteri principali della religione cristiana, la Trinità.
Il personaggio di dimensioni maggiori seduto su un trono senza schienale è Dio Padre che sorregge la croce a cui è appeso il Figlio. Tra i due compare lo Spirito Santo sotto l’aspetto di colomba rappresentata in volo proprio nel punto di incrocio tra i due bracci della croce. Gesù ha l’aureola attraversata da una croce della quale vediamo solamente due bracci su quattro a ricordare lo strumento della sua morte e lo stesso tipo di aureola, in verità, anche la stessa fisionomia, caratterizza il Padre a rimarcare l’unità delle persone divine.
Le Croci nelle aureole appaiono oggi annerite ma in origine erano dorate così come i raggi che escono dalla bocca del Padre e dal suo mantello, ciò doveva rendere ancora più splendente questa scena già riccamente decorata nelle vesti con motivi a stampo. Ai lati di queste due immagini principali troviamo quattro figure di santi, La Trinità è affiancata dai due principi degli apostoli Pietro e Paolo, gli attributi tradizionali permettono di riconoscerli: Pietro dalla corta barba bianca con le due chiavi del regno dei cieli e Paolo dalla lunga barba bruna con la spada e un libro che allude alla sua predicazione e specialmente alle sue lettere. A sinistra della Madonna della Misericordia un giovane santo che dal particolare indumento che indossa, la dalmatica, si identifica come un diacono ma non è chiaro quale sia tra i due più celebri santi diaconi se Stefano protomartire o Lorenzo.
Sul lato opposto compare un francescano dal volto scavato che mostra con una mano un libro aperto e con l’altra un disco raggiante con un sole che contiene le lettere YHS, si tratta di San Bernardino da Siena, il più famoso predicatore dell’Italia del ‘400 che diffuse particolarmente la devozione per il nome di Gesù. Bernardino usava mostrare una tavoletta con scritto il sacro nome abbreviato nella forma che troviamo qui cioè con le sole lettere YHS che rappresentavano, in origine, le prime tre lettere del nome di Gesù in greco ma che poi sono state in genere interpretate come le iniziali della frase latina “Jesus Hominum Salvator” cioè Gesù salvatore degli uomini.
Nelle immagini San Bernardino è spesso caratterizzato da un libro nel quale si legge una frase che allude a questa devozione: “Padre ho manifestato agli uomini il Tuo Nome” ed è probabile che così fosse scritto in origine anche nell’affresco di Castelferretti. Altri due dischi col trigramma cioè le tre lettere di San Bernardino compaiono più in alto chiudendo sui lati la decorazione di questa parete. In posizione ancora più esterna dovevano aprirsi due finestrelle al di sopra di due porte tutte murate delle quali rimangono le sagome incorniciate in pittura.
Il programma di questa parte della decorazione ha un carattere organico, omogeneo, questo ci fa pensare si sia trattato di una commissione proveniente dai patroni della chiesa: i Ferretti, ovvero dal rettore che essi nominavano.