GRUPPO CANORO
Pensiamo che cantare sia un modo di conoscere la realtà e di costruire collegamenti con il nostro territorio e con le persone che ci vivono. Sia i canti che le storie appartenenti al “mondo popolare” ci parlano di un passato legato al mondo rurale che utilizzava il canale narrativo per tramandare saperi, cantare serviva per alleviare le fatiche, conciliare il sonno, scongiurare le carestie, rivelare un interesse amoroso, piangere un defunto.
Raccontare e cantare il passato ci sembra dunque una forma di recupero importante per una memoria storica collettiva del paese.
Il Natale, nato come festa pagana del Sole, assume simbolicamente la vittoria della luce sulle tenebre ed è ricco di tante tradizioni a seconda dei costumi e delle usanze dei luoghi, nell’architettura del tempo che “ricorre” alla nascita del bambino.
Ciò che si evidenzia nel canto che vi proponiamo è l’aspetto dunque “popolare” e umano che assume il personaggio di Gesù, discostandosi dalla connotazione sacra e mistica. Il ritmo e la metrica del canto che eseguiremo rispecchiano l’impostazione melodica tradizionale
del saltarello con un finale pieno di vitalità, un’apertura a godere delle gioie terrene.
Nell’augurio di vivere, anche se distanti, una gioia piena che questo piccolo messaggio di natività racchiude, vi lasciamo con questo ascolto.
Silvia Liuti
N.B. Per ascoltare il brano cliccare sul relativo link (titolo in blu)
Capanna Sanda (brano ritrovato da G.Ginobili, MC)
“Natu natu Nazzarè tra
la paja e tra lo fiè
E Maria la Virginella che sta sotto la capannella
Gisù caro dormi vè, tra lo voe, l’asinè
Tra le vraccia de la mamma che te canda la ninna nanna
Capanna Sanda ndo che ce sta Gisù se sona e canda”
Buon Natale dal gruppo degli Scanterini
Sergio Badialetti – voce, tamburo e “urlo”
Felicia Carafa – voce e tamburello
Paolo Cardinali – voce e flauto
Silvia Liuti – voce e chitarra
Storie di “Pasquelle” nel paese di Castelferretti e nei vicini borghi
raccontate da Sirio Sebastianelli e da Cesare Polonara.
La Pasquella è un canto rituale di questua che ha origini molto antiche, legata al solstizio d’inverno e successivamente all’arrivo dei magi. Questo antico augurio che si “portava” di casa in casa da dopo Natale fino all’Epifania chiedeva in cambio offerte di cibi vari e vino. L’origine del canto risale al mondo magico-pagano, quando si attribuiva al rito la funzione esorcizzante di scacciare il male, ovvero il gelo dell’inverno e propiziare il bene, dunque la nuova stagione, la luce, la primavera di rinascita. Offrendo doni ai Pasquellanti ci si propiziava salute e buon raccolto. Il canto ha una struttura codificata ma spesso i suonatori che lo eseguivano aggiungevano alla cellula melodica nuove strofe relative al luogo dove si trovavano, adattando così di volta in volta il testo alla struttura. Il gruppo di questuanti era formato solitamente da un suonatore di organetto, uno di cembalo e uno o più cantori, ma a seconda dei luoghi la formazione e gli strumenti potevano cambiare. Dalle nostre parti è presente anche il suonatore di triangolo. L’organetto viene introdotto circa a metà dell’800 e utilizzato al posto della zampogna, antico strumento musicale attraverso il quale si annunciava il Natale e si scandivano momenti salienti dell’anno agricolo, secondo l’arcaico calendario stagionale.
Sirio Sebastianelli[1] nel suo libro I vecchi di una volta parlavano così ci racconta che i Pasquellanti “cantavano davanti casa dei contadini in attesa che si aprissero le porte delle loggette, al lume della bugia[2], e che il vergaro e la vergara si affacciassero per concedere qualcosa che i canterini chiedevano: uova di solito, vino, qualche libra di ceci e fagioli, ‘na pagnotta, nei casi speciali proprio quella famosa gallinella che “non importa se non è bella”.
Una caratteristica che abbiamo ritrovato nei racconti di Sirio Sebastianelli è la strofa che invece di nominare il fiume Giordano, come accade nelle Pasquelle raccolte nella Vallesina, cita proprio quello dell’Esino stesso:
” Sèn venuti dal Fiume Esino
dove l’acqua non doventa vino,
ce vuria l’acqua del Giordano
ma la vergara ce da ‘na mano “
Nelle raccolte dei canti di questua di Gastone Pietrucci[3] troviamo la strofa che caratterizza quasi tutte le Pasquelle in particolare vi riportiamo quella di Monsano[4]:
” Giù nel fiume del Giordano
dove l’acqua diventa vino
pè lavare Gesù Bambino
pè lavare la faccia bella e giunti siamo alla Pasquella “
Gastone Pietrucci ci spiega in Viaggio in Italia[5] che il riferimento al fiume Giordano riguarda il sincretismo tra mondo popolare e religioso, quando la Chiesa subentra e fa sue le Feste Pagane. In particolare, ci spiega che questa strofa si riferisce alla liturgia bizantina inseritasi in una preesistente versione popolare la quale fa risalire al sei gennaio le celebrazioni del Natale, dell’Epifania e delle Nozze di Canne.
Anche Cesare Polonara[6] in “Cartoline dalla campagna” ci descrive la Pasquella dei borghi vicini con una strofa relativa al fiume Giordano;
“ Sulle rive del Giordano
dove l’acqua diventa vino
San Giuà, con mossa lesta
versa l’acqua sulla testa
dell’ebbreo Gesù bambino ”
Nel suo libro descrive così la tradizione:
“Dopo Natale è sempre carnevale” “e la carnevalata la cominciano quei matti del Borgo che vengono, come i remagi, a cantare la Pasquella. Accompagnati dall’organetto, dal cimbalo, dal putipù, si avvicinano alle case con lo stornello d’apertura” che è una presentazione, a volte un vero e proprio permesso o saluto, come in questo caso:
“ Ne venemo da giù pe’ji’ fossi
brodulati come i porci
ci ha piccato pure gli spini
bonasera cuntadini ”
Dopo le presentazioni arrivano le lusinghe rivolte all’iniziale riluttanza del contadino di farli entrare:
“ Su sta casa c’è na’ sposa
bianca e rossa come na’rosa
e ci ha pure una bocca bella
bon anno novo bona Pasquella ”
Arriva poi il momento della richiesta esplicita di cibo e vino:
“ Calate giù capoccia
piano piano
portatecelo ‘n goccio
de vi’ bono “
La questua si conclude con lo stornello di commiato:
“ Ferma ‘l canto e ferma ‘l sono
perché ormai stufato abbiamo
aspettiamo il vostro dono
e poi a casa ce ne andiamo ”
Sirio Sebastianelli riporta nei primi quattro versi la presentazione e nella seconda e terza quartina la richiesta di cibarie e vino così:
“ Sen venuti giù p’i fossi,
tutti lerci come i porci,
e c’ha piccato ‘ncora i spini,
ma non semo assassini ”
” Si ce date ‘na gallinella,
non ce n’importa se nun è bella;
basta che canta e faga l’ovo,
viva viva l’anno novo”
” Si ce date ‘n bicchier de vino,
non ce n’importa si nun è pino (pieno);
basta che scalda le budella,
viva viva la Pasquella ”
Silvia Liuti
con la preziosa collaborazione di Sergio Badialetti
Il brano “La Pasquella” è stato eseguito da:
Pasquella di Monsano, gennaio 2020 con il gruppo La Staccia
[1] Nato a Castelferretti il 1924, giornalista del quotidiano l’Unità e direttore di diversi periodici e riviste, trasferitosi in varie città e negli ultimi anni a Roma
[2] Candeliere provvisto di manico e bocciolo dove viene infilata la candela
[3] Etnomusicologo e ricercatore, fondatore del gruppo musicale e di ricerca de “La Macina”
[4] Volume II del libro di Gastone Pietrucci “CULTURA POPOLARE MARCHIGIANA”, Canti e testi tradizionali raccolti nella Vallesina”
[5] A cura di Ciro de Rosa e Salvatore Esposito, Squilibri Editore
[6] Autore di “Cartoline dalla Campagna”, Ancona 1983-BICIGRAF-Sirolo
In occasione della Pasqua (2021) vi presentiamo un canto della Passione che prende l’andamento di una ninna nanna dal titolo “Bovi Bovi”, nella versione ritrovata nel libro di Sirio Sebastianelli “I vecchi di una volta parlavano così”:
La Passione secondo le nostre nonne
Troviamo scritto tra le righe: “La passione di Cristo è legata alla nostra storia popolare paesana che richiama alle Scritture ma si svolge e si materializza attraverso elementi ambientali spiccatamente castelfrettesi. Il finale della cantica perde quasi completamente l’andamento della Passione e diventa una pura, semplice e bella ninna nanna.” Nelle note dell’ultima pagina troviamo scritta la seconda parte del testo.
Ci è sembrato bello integrarlo con la prima parte che si è soliti cantare e farne una versione castelfrettese.
“Bovi bovi, dove andate
Che le porte sono serrate.
Son serrate per la via,
Dove andate Gesù Maria?
Vado in cerca del mio figliolo,
Son tre giorni che non lo trovo.
L’ha trovato in cima al monte
con le mani piegate e giunte.
Chi gli dava una sassata,
chi gli dava una coltellata.
Sangue rosso gli “sortiva”,
la Madonna lo copriva.
Lo copriva col velo bianco,
Padre, figlio e spirito santo.”
*Lo sciuccava col velo rosa,
La Madonna è ‘ndata sposa
È ‘ndata sposa col Bambinello,
Che si chiama Salvatore
Salvatore camina per casa,
La Madonna el pia el bagia
E lo mette sopra el comò,
Fa la nanna Gesù coccò
E lo mette sopra ’l lettin,
Fa la nanna Gesù bambin”
Il brano “Bovi Bovi” è stato eseguito da:
Voci: Sergio Badialetti, Felicia Carafa e Silvia Liuti
Chitarra Silvia Liuti
Sperando di sentirci un po’ vicini nella distanza, vi auguriamo Buona Pasqua!
Silvia Liuti
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Sperando che possiate appassionarvi a questa piccola ricerca vi abbracciamo e aspettiamo i vostri contributi.
Gli Scanterini