Leggi e Principi
Leggi e principi dell’arte della guerra.
Esistono i “principi”? Il loro “perché”; la loro natura. Gli uomini, i militari, hanno sentito da sempre il bisogno di razionalizzare, di porre ordine nella comprensione del fenomeno della guerra e delle sue attività. Ciò prima di tutto per esaminarle, comprenderle e capire il motivo dei successi e degli insuccessi. In secondo luogo, cercando di ripetere quanto aveva dato esito positivo, oppure di introdurre quelle novità che assicurassero il successo. In terzo luogo, per descrivere i fatti e per istruire ed addestrare i futuri capi; e questo è divenuto particolarmente vero nell’epoca moderna, nel tempo della formazione dei grandi eserciti nazionali.
Vi è stato, quindi, il tentativo di dare alle attività belliche un carattere scientifico, che permettesse, poste determinate premesse, di conseguire, in maniera certa, determinati risultati, secondo norme stabili, sicure, matematiche. Si tratta di una tendenza, corrispondente ad un interesse o ad una convinzione, volta a dare all’arte della guerra i caratteri di una scienza, basata su leggi e rapporti di causa ed effetto costanti e ben definiti.
Ne è scaturita quindi una ricerca di “leggi”, cioè di verità costanti, applicabili in guerra, e di “principi”, cioè di norme o di criteri fondamentali a cui far risalire l’ispirazione di ogni provvedimento o di ogni azione. Anche se la prima definizione dei “principi” dell’arte della guerra si può far risalire molto indietro nel tempo, soltanto nel XIX secolo, sotto l’impressione delle imprese condotte da Napoleone, alcuni studiosi hanno cercato di dedurre, dall’esame delle sue campagne, leggi e principi. Ma poi tutti hanno dovuto concludere che il fenomeno guerra e quello operativo non sono riconducibili a modelli matematici e non sono governati da leggi esatte, ma debbono considerarsi essenzialmente fenomeni umani, anche se si avvalgono delle tecniche più evolute, in quanto lasciano largo margine alla casualità ed ai valori spirituali ed intellettuali, condizionati dalla contrapposizione di volontà e da una grande molteplicità di elementi concorrenti.
E’ indubbio che in essi vi sono elementi tecnici i quali ammettono l’applicazione di leggi scientifiche, ma queste sono spesso condizionate da fattori non tecnici (ad esempio: l’introduzione di un missile c/c con gittata utile doppia avrà ripercussione sull’andamento del combattimento, che però è influenzato anche da morale ed addestramento del combattente, della sua situazione in quel momento, della sua eventuale “neutralizzazione” per il fuoco nemico, dalle condizioni di visibilità per le situazioni meteorologiche, ecc.)
Se consideriamo la guerra con un fatto essenzialmente umano, soggetto a tanti elementi variabili, dobbiamo concludere sulla difficoltà di ritrovare, nel suo andamento, delle vere e proprie leggi.
Possiamo, invece, ricavare delle costanti di comportamento valide in determinate situazioni che hanno però il valore di leggi di probabilità o di frequenza, piuttosto che di rapporti fissi e costanti di causa ed effetto aventi valore scientifico. In questo caso, allora, non si può – per molti – parlare di “leggi” o “principi”; si può, per ogni principio, trovare esempi opposti; si può parlare di coloro che si ritenevano “sicuri” e sicuri non erano affatto, oppure che conseguirono il successo violando qualche principio. Meglio, secondo tali pensatori, non parlare affatto di questi principi, la cui conoscenza non aggiunge niente al nostro numero di carri armati e di artiglierie; si impari invece ad usare questi strumenti e la vittoria arriderà!
A ben guardare, tuttavia la posizione di questi obiettori appare illogica in se stessa in quanto, proprio se la guerra fosse fatta solo di carri, artiglierie e altri mezzi, proprio se fosse solamente un fatto tecnico, allora veramente dovrebbe essere possibile stabilire per essa delle leggi, il che in effetti non è mai stato e non è.
Non esistono quindi in linea teorica vere e proprie “leggi” e “principi” idonei a dare una risposta certa di come garantire il successo. Ciò è tanto vero che, come vedremo, questi “principi” sono diverse secondo le dottrine dei vari paesi. Se fossero veri per sé e necessari, sarebbero uguali ed obbligatori per tutti; ciò non è; quindi non sono veri e propri “principi” di carattere scientifico. E’ stato, inoltre, osservato che i “principi” non sono altro che norme di buon senso facilmente intuibili. Ma come disse Napoleone, “la guerra è tutta un’arte di esecuzione”. Il difficile è ricordarli ed applicarli nelle condizioni della guerra che è caratterizzata da:
– incertezza e variabilità del “Quadro”(amico, nemico, terreno, tempo e spazio); – interazioni continue fra il “Quadro” stesso e le iniziative nostre e del nemico. L’intendimento nostro di portare una sorpresa al nemico con una gravitazione di forze sulla destra può portare ad una sconfitta se il nemico agisce in precedenza sulla nostra sinistra e cade sulle nostre vie di comunicazione senza che noi si possa tempestivamente reagire.
Su questo carattere di elementarità e di evidenza dei “principi”, ma di difficoltà nella loro corretta applicazione, è interessante ricorrere ad ulteriori testimonianze. I “principi” secondo il russo Dragomirov, citato dal Foch, “sono alla portata dell’intelligenza dell’uomo più comune; il che non significa che egli sia in grado di applicarli”. Ed ancora il Gen. Eisenhower, nel libro “Crociata in Europa”, scriverà: “i principi fondamentali della strategia sono così semplici che un bambino può capirli. Ma il determinare la loro migliore applicazione in una certa situazione richiede l’impegno più gravoso da parte degli Ufficiali di Stato Maggiore migliori fra quanto siano disponibili”. I “principi” sono quindi di facile comprensione; ma ne è difficile l’applicazione.
La loro funzione è soprattutto “preparante” dell’uomo e dello stratega e non “determinante” nel caso specifico dell’azione individuale. La loro osservanza è condizione necessaria, ma non sufficiente, nel complesso, spesso contraddittorio, di esigenze e possibilità della battaglia. Circa le conseguenze connesse con la loro inosservanza, così scriveva il Generale Ettore Bastico nella sua “Evoluzione dell’arte della guerra”: “Questi principi sono indeterminati per numero, per origine, per sostanza…Essi sono il frutto delle esperienze di secoli e secoli e ne sono anche, sebbene l’espressione possa apparire impropria , il frutto indiretto: derivano cioè non tanto dal riconoscimento della bontà della loro applicazione positiva, quanto dalla constatazione delle dannose conseguenze che volta a volta sono derivate dalla loro inosservanza”.
I “principi” sono necessari e utili per comprendere gli eventi storici.
Pur dovendo, quindi, porre in guardia contro una eccessiva fiducia nell’uso e nel ricorso ai principi, non si può d’altronde disconoscere come essi siano a fondamento di qualsiasi esame storico, critico e comparativo di fatti bellici, e di qualsiasi preparazione e giudizio critico sui fatti militari. Possono considerarsi le dimensioni “dei fatti bellici”. Così come ampiezza, altezza, raggio, superficie e volume sono gli elementi che permettono la misura ed il confronto fra figure geometriche, così noi possiamo confrontare le soluzioni contrapposte date di volta in volta ai problemi tattici e strategici in base alla maniera con cui ognuna ha garantito più o meno l’osservanza di questi “principi”. Essi sono uno strumento utile di studio, di comprensione dei fatti storici, della loro analisi. Rispondono ad una logica raziocinante (il bisogno di creare delle “categorie”, delle “idee” a cui fare riferimento) e soprattutto ad una esigenza di informazione (o di “autoinformazione”) del Capo e dei Quadri, facendo acquisire utili indirizzi da osservare e da applicare nella generalità dei casi (cioè non tutti) e nelle più difficili circostanze. Ad essi, alla loro osservanza od alla loro violazione, viene fatto riferimento in sede di considerazioni ed ammaestramenti tratti dallo studio di avvenimenti militari, nello sviluppo di ricerche di storia militare. Anche se in ultima analisi i “principi” non hanno valore assoluto, tuttavia essi sono elementi fondamentali per acquisire una preparazione critica, per esprimere una dottrina ed una regolamentazione. I “principi”, visti sia come criteri fondamentali dell’azione sia quali punti di “riferimento” o “misure” di qualsiasi direttiva e giudizio, sono quindi elementi necessari nella formulazione di qualsiasi pensiero militare. L’adozione dei “principi” è caratteristica, dunque, dei tempi moderni, con le loro esigenze di formazione di grandi Eserciti Nazionali e di grosse strutture di Quadri, da istruire secondo unità di pensiero e di dottrina. Lo stabilire “principi” di azione strategica è stato proprio delle Scuole di pensiero tedesca e francese nella seconda metà del secolo scorso. In seguito, le regolamentazioni di alcuni Paesi hanno dato sanzione ufficiale ad alcuni “principi” ritenuti di carattere prioritario. Si può dire al riguardo che i vari Paesi ed i vari Eserciti, in diversi momenti, hanno teso a porre in primo piano determinati principi propri, stimati più necessari e di maggior peso – anche in relazione al carattere dei popoli, all’ambiente ed al momento storico – ai fini del conseguimento del successo. Secondo l’evoluzione dei tempi, dei mezzi e dei procedimenti il contenuto e l’applicazione dei cambiati, così come è cambiato l’ordine di proprietà fra gli stessi.
Le leggi fondamentali della guerra
Nel pensiero militare francese si fa una distinzione fra “principi”, o criteri dell’attività operativa, e le “leggi” costanti dell’evoluzione della guerra. Altri Eserciti considerano solo i “principi”. Poiché, spesso, viene fatto riferimento anche a queste “leggi” le ricordiamo rapidamente. Fra esse possiamo citare quelle che caratterizzano il fenomeno bellico e la sua evoluzione; sono le leggi di:-somiglianza;
-amplificazione;
-accelerazione;
-discontinuità;
-persistenza;
-vantaggio iniziale dell’aggressore;
-riequilibrio.
Esse richiamano l’attenzione sul fatto che ogni conflitto tende ad amplificare i caratteri del precedente, secondo il noto fenomeno di accelerazione della storia e di discontinuità per le evoluzioni scientifiche intermedie, pur conservando elementi caratteristici del passato (somiglianza). Non occorre illustrare la verità di questi asserti i quali però spesso sono stati trascurati. La stessa imponenza delle variazioni imposte dall’accelerazione legata alla potenza nucleare costituisce – pur se negativamente – una conferma della validità di queste leggi anche nell’Era contemporanea.
Le “leggi” di condotta delle operazioni: leggi negative e positive Viene fatto spesso riferimento anche a “leggi” di condotta delle operazioni valide in campo strategico ed in campo tattico. Alcune di tali leggi tendono ad influenzare in modo negativo l’andamento delle operazioni. Queste “leggi negative”, valide sia in campo strategico sia in campo tattico, sono quelle:
– della protezione;
– dell’attrito;
– dell’imprevisto.
Esse sottolineano come ogni manovra, ogni attività trovi elementi negativi nella tendenza degli uomini a garantire prima di tutto se stessi, nella difficoltà di superare posizioni, interessi, preconcetti, nello sforzo necessario per realizzare qualsiasi azione, nella possibilità di errori e di elementi inattesi nella esecuzione di qualsiasi iniziativa. L’azione deve spendere una certa quantità di energia per vincere l’inerzia ingenerata da questi fattori, specie inizialmente; essi perciò possono considerarsi come negativi, e sono presenti costantemente. Vi sono leggi, la cui osservanza è positiva nei riguardi del raggiungimento del successo. In campo strategico, sono leggi positive quelle:
– dell’Offensiva;
– del Movimento;
– della Forza.
In altre parole: la vittoria può essere conseguita solo con una manovra offensiva, la manovra difensiva è valida solo se assunta temporaneamente. La manovra offensiva è realizzata attraverso la libera utilizzazione dello spazio, con il movimento che porta allo scontro, alla prova di forza. Il Movimento è Manovra Strategica. La prova di forza significa “Battaglia”. Le Operazioni sono costituite da una successione e da una integrazione di movimenti (manovre) per la battaglia, e di battaglie atte a consentire la manovra. Una Campagna è un insieme di operazioni (o azioni strategiche complete), che si svolgono sino a conclusione su uno stesso Teatro Operativo. In campo tattico, si hanno le leggi positive di condotta:
– del Fuoco;
– del Movimento;
– dell’Urto.
La manovra tattica tende comunque all’urto, anche se questo, oggi, si avvale in larga misura del fuoco per neutralizzare l’avversario. Il movimento, sulle direzioni più opportune (le vie tattiche), costituisce l’ossatura della manovra tattica; esso si avvale del fuoco e nello stesso tempo lo mette nelle migliori condizioni per un suo più efficace sviluppo. Il predominio del fuoco sul campo di battaglia è l’elemento condizionatore di ogni movimento. Napoleone soleva dire che “Senza fuoco non si avanza” e che “le battaglie sono decise dal fuoco e non dall’urto”.
I “Principi”
Piuttosto che alle “leggi”, che sono riferite alla generalità del fatto bellico, l’attenzione è il più delle volte rivolta ai “principi”, considerati i criteri fondamentali delle operazioni militari, quelli a cui il Capo deve ispirare la sua condotta per conseguire il successo. Già Sun Tzu, il pensatore militare cinese del VI secolo a.C., riassumeva il suo pensiero in 13 massime; da queste il Collins estrapola e riconosce 6 “principi”: Scopo od obiettivo, Iniziativa, Concentrazione degli sforzi, Manovra, Coordinamento, Sorpresa. Il pensiero militare romano (Vegezio) e quello rinascimentale (Machiavelli) sono lontani dalle speculazioni teoretiche e ricercano concreti elementi di esperienza e di giudizio nelle notizie sugli argomenti e sugli avvenimenti. Una definizione di “criteri” si può incominciare a vederne gli scritti del Montecuccoli e nelle direttive Federiciane ai propri generali. Anche Napoleone non parla di veri e propri “principi”. Egli fa riferimento agli ammaestramenti ricavati dallo studio delle operazioni dei grandi capitani del passato ed esprime le sue opinioni condensandole in massime (se ne contano ben 115), tutte vere ma non ordinate in un insieme coerente.
Esse vanno dall’affermazione che “per fare la guerra occorrono tre cose: denaro, denaro, e poi ancora denaro” ad altre che sottolineano invece i valori morali. In una occasione il Bonaparte sostiene che “il segreto della guerra è cadere sulle comunicazioni dell’avversario”, ed in altra che “la vittoria è data dal concentramento delle proprie forze su un qualsiasi punto contro forze minori avversarie”.
Saranno i post napoleonici a ricercare il segreto delle vittorie del grande Corso ed a tentare di codificarne le regole. Lo Iomini, nello sforzo di semplificare, finisce per creare un sistema piuttosto costrittivo di “principi” (27), ed a indurre ad una impostazione meccanicistica delle operazioni. Il Clausewitz approfondisce, come è noto, la natura ed i caratteri del fenomeno bellico e, anch’egli, parla dei “principi” come di “criteri fondamentali”.
Nell’opera “Principi della guerra” egli riconosce l’esigenza di tenere presenti alcuni principi generali, che afferma essere: 3 nella difesa, 14 nell’offesa, 8 per l’impiego delle Unità, 17 per lo sfruttamento del terreno. Nel III capitolo di quest’opera, dedicato alla strategia, il Clausewitz cita quattro regole, delle quali tre sono derivate dalla prima (necessità di realizzare la superiorità nel punto decisivo: lo “Schwerpunkt”). Egli sembra quindi dar maggior rilievo al principio della “concentrazione delle forze” ed a quello della “manovra”. Ma, per altre sue affermazioni, gli va riconosciuta anche particolare attenzione verso i principi dell’ “obiettivo”, della “offensiva”, della “economia delle forze”, del “morale”, della “sorpresa”. Nel pensiero militare del XIX secolo, il De Cristoforis dà un importante contributo all’analisi dei caratteri delle operazioni belliche, affermando come l’elemento fondamentale del successo sia l’osservanza di un unico principio, quello della “Massa”. Tutti gli altri: sorpresa, sicurezza, economia delle forze, manovra, sarebbero soltanto corollari di questo principio, o mezzi per conseguire la superiorità delle forze, superiorità che rimarrebbe comunque l’elemento decisivo per la vittoria. Durante un secolo, numerosi autori hanno attribuito la superiorità napoleonica all’abile sfruttamento della manovra per linee interne. Le vittorie prussiane di Sadowa (1866) e contro la Francia nel 1870 inducono lo Schlieffen ad affermare la superiorità della manovra per linee esterne, postulata nella sua opera “Cannae”. Com’è già accennato, è soltanto verso la fine del secolo scorso, per effetto della costituzione di grosse organizzazioni militari nazionali e per l’esigenza di creare unitarietà di dottrina nelle formazione di ingenti quantità di Quadri, che si incomincia a parlare di “principi”, e che questi, spesso trovano riconoscimento ufficiale nelle regolamentazioni. All’inizio del nuovo secolo, il Foch crede di vedere quattro principi fondamentali nelle operazioni napoleoniche: Sorpresa, Mobilità, Concentrazione delle forze, Economia delle forze. Ciò che interessa rilevare è che i “principi” riconosciuti nei vari Paesi sono spesso abbastanza simili, ma non sono mai del tutto uguali: né nel numero, né nelle sostanza. Un gruppo di Paesi adotta attualmente “principi” che possiamo considerare di derivazione Clausewitziana e Moltkiana, variabili nel numero da 9 a 15. La GERMANIA considera 15 “principi”, validi sia nel campo tattico sia in quello operativo: Condotta delle operazioni indicando solo la missione; Cooperazione, Rischio calcolato; Libertà d’azione; Semplicità; Fuoco e movimento; Ostacolo; Forza d’urto; Sorpresa; Inganno; Segretezza; Diradamento e concentrazione; Sforzo principale; Riserva; Economia delle forze. Gli STATI UNITI adottano 9 “principi”, in parte analoghi a quelli della scuola tedesca e validi a tutti i livelli (strategico e tattico): Obiettivo; Offensiva; Massa; Economia delle forze; Manovra; Unità di Comando; Sicurezza; Sorpresa; Semplicità. Nel FM 100-5 tali “principi”, unitamente ai 4 “concetti operativi” (Profondità, Iniziativa, Agilità, Sincronizzazione), sono raggruppati sotto i seguenti 10 “imperativi della battaglia aeroterrestre”: – assicurare l’unità di sforzo; – anticipare gli eventi sul campo di battaglia; – gravitare con le forze dove il nemico è più debole;
– stabilire, sostenere e spostare lo sforzo principale; – premere per il combattimento; – muovere veloci, colpire duro ed eliminare rapidamente; – utilizzare efficacemente terreno, condizioni meteo, inganno e “OSPEC” (sicurezza operativa); – proteggere/conservare le forze per azioni decisive; – combinare le armi e gli altri servizi a integrare e rinforzare; – comprendere gli effetti della battaglia sui soldati, le unità ed i Capi.
La GRAN BRETAGNA riconosce 10 “principi”, abbastanza similari a quelli precedenti: Scelta e mantenimento dell’obiettivo; Mantenimento del morale; Azione offensiva; Sorpresa; Concentrazione delle forze; Economia degli sforzi; Sicurezza; Flessibilità; Cooperazione; Amministrazione. La ex UNIONE SOVIETICA ritiene validi 11 “principi”: Avanzata e consolidamento; Combinazione delle Armi; Offensiva (attivismo); Manovra; Concentrazione (Massa); Annientamento; Persistenza. Mancano quelli dell’Obiettivo e della semplicità; si aggiungono quelli del Morale (come la Gran Bretagna), dell’Avanzata e consolidamento, che sembra corollario di quello dell’Offensiva, dell’Annientamento, che può essere considerato sostitutivo del principio dell’Obiettivo per altri Eserciti. L’esercito SVIZZERO prevede nella sua normativa 9 “principi”: Distruzione dell’avversario; Semplicità; Concentramento delle forze; Unitarietà d’azione; Libertà d’azione; Sorpresa; Adattamento dell’azione allo spazio ed al terreno; Economia delle forze; Sicurezza. Fra essi notiamo l’assenza del principio dell’Offensiva e la presenza – abbastanza comprensibile data la morfologia del Paese – del principio relativo all’Adeguamento dell’azione allo spazio ed al terreno. Per quanto concerne il pensiero militare delle CINA, viene fatto spesso riferimento alla concezione di Mao nei riguardi delle operazioni di guerriglia e di guerra rivoluzionaria. Noi riteniamo invece che ci si debba semmai riferire alle note direttive del 1947 per le operazioni complesse nella guerra civile, nelle quali possono essere riconosciuti 10 principi, corrispondenti, pur con diverse sfumature ed interpretazioni, ai principi previsti dalla Gran Bretagna e dall’URSS: Annientamento (progressivo) dell’avversario; Unità di Comando attribuita ai politici; Iniziativa; Continuità di manovra; Concentrazione degli sforzi su aliquote avversarie; Economia delle forze; Sorpresa; Sicurezza; Morale; Alimentazione dello sforzo (a carico del nemico). A questa maggioranza di Paesi che prevedono u insieme di 9-15 principi, se ne contrappone un gruppo che tende ad affermarne un numero più esiguo. Fra essi possiamo annoverare, come eminente sul piano della dottrina militare, la FRANCIA, che considera tre soli principi, e precisamente, in ordine di priorità: Conservazione della libertà d’azione, Concentrazione degli sforzi, Sorpresa. Ma vi è chi, come il Foch, ritiene la sorpresa una semplice “modalità” e considera principi validi soltanto i primi due. Va ricordato che il pensiero militare francese contempla anche le “leggi” di condotta della guerra ed include fra esse i concetti di offensiva, manovra ed altri. La SPAGNA, che ha grandi seppure ormai antiche tradizioni militari, considera anch’essa tre soli principi fondamentali. Essi sono: Volontà di vincere; Libertà d’azione; Capacità di esecuzione. Enuncia anche sei principi complementari: Sfruttamento del successo; Azione congiunta; Flessibilità; Economia dei mezzi; Sicurezza; Sorpresa. Per l’ESERCITO ITALIANO le pubblicazioni della serie 900 contengono una formulazione della dottrina, riferita al campo TATTICO. In particolare, la “Memoria sull’impiego delle Grandi Unità” (n. 900/A) ha lo scopo di fornire gli elementi essenziali per la concezione, l’organizzazione e la condotta delle operazioni difensive ed offensive a livello Corpo d’Armata e Brigata. Frequenti cenni al gruppo tattico concorrono a configurare in maniera unitaria e completa ciascun tipo di operazioni.
Il quadro STRATEGICO di riferimento è caratterizzato da: – una concezione strettamente difensiva della guerra, vista come reazione naturale e necessaria ad una aggressione; – una vasta gamma di possibili scenari operativi. Di rilievo, due norme di carattere generale chiaramente evidenziate: – l’UNITARIETÀ’ del problema operativo, da considerare inscindibile nei suoi aspetti tattico e logistico e, quindi, da impostare, analizzare e risolvere entro i limiti delle possibilità logistiche; – l’ampia LIBERTA’ D’AZIONE lasciata ai Comandanti, a tutti i livelli, per adottare, caso per caso, la soluzione più rispondente. La regolamentazione, pur non richiamandosi esplicitamente ai “Principi dell’Arte della guerra”, fa riferimento alle esigenze da soddisfare ed ai fattori essenziali del successo alle componenti di base su cui fondano le moderne operazioni, alle loro modalità esecutive, ai criteri cui ispirarsi per la soluzione dell’aspetto logistico. Nel complesso la dottrina italiana sembra porre in risalto i principi classici: – Obiettivo / compito; – Unità di Comando / Integrazioni operazioni; – Libertà d’azione e di decisione / Iniziativa e prontezza operativa; – Manovra / Rapidità di esecuzione / Mobilità e continuità; – Massa (concentrazione di potenza). Economia; – Sorpresa; – Sicurezza; – Morale (volontà di prevalere); – Preparazione (Potenziale logistico/Capacità di Comando e di esecuzione; – Informazioni. Flessibilità, Semplicità e Realismo sono gli elementi che caratterizzano il sostegno logistico. Manca il principio dell’Offensiva, nel senso globale ad esso attribuito presso altri Eserciti; viene peraltro esaltato il carattere offensivo ed aggressivo del combattimento, il solo ritenuto in grado di assicurare il successo anche in un contesto difensivo. Il compito è inteso nel senso particolare di assolvimento dello stesso. Nel trattare della Manovra per realizzare concentrazioni di potenza (massa) viene richiamato il concetto di punti deboli dell’avversario (in corrispondenza dei quali agire, di massima). Si può dunque asserire che in tutti gli Eserciti si riconosce la validità di un certo numero di “principi” o criteri fondamentali dell’azione. Essi, pur presentando attinenze, somiglianze ed equivalenze, contemplano anche differenze di rilievo, sia nella dizione sia nella sostanza.
La validità dei “principi” nei tre tipi di guerra oggi possibile: nucleare, convenzionale, rivoluzionaria (o sovversiva)
Indubbiamente, oggi, le prospettive di ambiente ed operative sono assai variabili nei diversi tipi di conflitto possibili e tali da provocare varianti nella priorità e nel significato da attribuire ai “principi”.
a. La validità dei “principi” nella guerra “limitata” o “classica” e “convenzionale” I “principi”, quale frutto di una lunga evoluzione delle dottrine, sono da considerare validi nella condotta di operazioni “classiche” o “convenzionali”. Le ultime esperienze di tale tipo di guerra risalgono ai conflitti arabo – israeliani del 1967 e del 1973. Secondo quanto annotato dall’Istituto degli Studi Strategici di Londra, la campagna del 1967 sottolineava il valore dei principi dell’offensiva, della concentrazione degli sforzi, della sorpresa, della sicurezza, del morale, dell’addestramento, dell’informazione. Anche uno studioso australiano metteva in evidenza il valore dell’informazione preventiva ed accurata quale elemento fondamentale e fattore determinante di decisione e di successo. Il conflitto del 1973 confermava a sua volta il valore dell’obiettivo, della sorpresa, della flessibilità ed ancora del fattore informativo, anche se quest’ultimo in senso negativo – questa volta – per Israele. In base all’esperienza dei due conflitti, la dottrina sovietica ha ritenuto di poter dedurre la priorità dell’elemento “Sorpresa”. In relazione ai successi conseguiti da Tedeschi e Giapponesi nel 1941, per sovvertire i quali le forze alleate ebbero a sostenere tanti sforzi ed onerose perdite, la dottrina sovietica ritiene che buona parte delle carte siano da considerarsi già giocate nell’imminenza del conflitto, per via di una più elevate preparazione dell’attaccante e di un attacco iniziale sferrato di sorpresa. Le esperienze dei grossi scontri sul canale tra Arabi ed Ebrei nel 1973, sia in senso positivo sia in senso negativo, hanno ulteriormente posto in luce il valore dell’ “Informazione” come elemento decisivo di superiorità operativa. Tale conflitto ha inoltre messo in rilievo l’importanza dell’ambiente politico nel cui quadro si verifica lo scontro e, quindi, della determinazione dell’obbiettivo. Gli aspetti politico – strategici di “limitazione” del conflitto appaiono infatti quelli prevalenti: sia nei riguardi degli spazi e dei tempi, sia nella estensione e nel carattere delle operazioni, e sia infine nel campo dei mezzi impiegati.
La “limitazione” imposta all’ambiente convenzionale tende comunque a porre vincoli rilevanti alle attività militari. Il conflitto “limitato” evidenzia più di altri l’aspetto politico della guerra e mette in rilievo il principio della determinazione dell’obiettivo come fattore vincolante. In tali condizioni l’annientamento dell’avversario diviene il più delle volte impossibile, mentre la ricerca di un successo offensivo può divenire irrealizzabile. Sicché, i princìpi della Sicurezza e della preservazione della potenza sembrano acquisire priorità su quelli della Sorpresa e dell’Offensiva, mentre conservano il loro valore i princìpi relativi ad una Azione informata ed attiva, sostenuta dal mantenimento del Morale in una situazione di estremo logoramentob. I “principi” nell’ipotesi di un conflitto “nucleare” La Strategia per il caso di guerra nucleare ha visto un salto nella imponenza degli effetti del “fuoco”, conseguiti in tempi ristrettissimi, così da superare i limiti indicati in precedenza per effetto delle leggi di somiglianza, di amplificazione e di accelerazione. Il vantaggio iniziale conseguibile dall’aggressore per effetto della sua iniziativa offensiva e della sua Manovra scatenata di sorpresa, è divenuto così imponente da richiedere, come solo rimedio possibile, l’adozione della dissuasione (o deterrenza), cioè l’esercizio di una minaccia pari o maggiore, idonea ad indurre l’avversario alla rinuncia del sua attacco. La strategia, per il caso di guerra nucleare, è divenuta quasi una strategia di “dissuasione”, piuttosto che una strategia di “impiego”, basata secondo il Kissinger su: – potenza, cioè disponibilità e possibilità di impiego di mezzi idonei e sufficienti; – credibilità, cioè capacità di Comando e controllo, volontà politica ferma e solidità del fronte interno; – mantenimento del nemico nell’incertezza circa entità e modalità di esercizio della Risposta. Se omettiamo di considerare la “credibilità” e la “incertezza”, che riguardano piuttosto le attività di governo nella politica interna ed estera, sul piano militare l’elemento “potenza” significa apprestamento di mezzi adeguati per numero, potenza, precisione, gittata, tempi di impiego. La strategia di “dissuasione” sottolinea la priorità dei principi: – dell’obiettivo, cioè dell’aderenza fra i fini politici ed i mezzi; – del “coordinamento e del controllo” di forze protette e quindi “Sicure” ed idonee a riprendere l’iniziativa attraverso tempi ristretti di reazione. Più che da concentrazione di forze la manovra è garantita da un’azione unitaria di Comando, da un’informazione tempestiva e da una pronta reattività dei sistemi d’arma strategici. In conclusione, la strategia di “dissuasione” sottolinea la priorità dei princìpi di determinazione dell’Obiettivo, unità di Comando, mantenimento o ripresa più tempestiva possibile dell’Iniziativa (in luogo dell’Offensiva), Reattività e Tutela (in luogo dei princìpi della Sorpresa e della Sicurezza). La scienza del “controllo della crisi” ha raccomandato di lasciare all’avversario la possibilità di ripiegare, quale ipotesi d’azione più conveniente, con il risultato che anche l’obiettivo dell’Annientamento diviene inaccettabile, così come non accettabile appare il principio della Concentrazione. Quello della Semplicità diviene poi molto aleatorio nella complessità dei sistemi d’arma moderni e nella molteplicità delle ipotesi d’impiego; in merito emerge la necessità di estrema “chiarezza” di procedure per la varie ipotesi. Che alcuni princìpi quali quelli della Sorpresa e della Offensiva possono considerarsi controproducenti, ai fini di una strategia della dissuasione, è messo bene in evidenza sia dalla pubblicità che viene data nelle crisi internazionali ai provvedimenti cautelativi presi, sia dall’adozione del “filo rosso”, cioè di collegamenti idonei a chiarire tempestivamente situazioni di rischio fra le Superpotenze. Un certo valore, infine, sembra conservare la Manovra, soprattutto ai fini della sicurezza e quindi della tutela e delle forze e del mantenimento delle Dissuasione. In conclusione, nell’ipotesi di minaccia o di condotta di guerra nucleare i noti “princìpi” possono considerarsi ancora validi, ma la loro sostanza risulta fortemente influenzata mentre la priorità fra di essi può variare notevolmente nelle diverse ipotesi, così come ha messo in rilievo il Ten. Col. Murray dell’esercito U.S.A. in un suo pregevole scritto “Clausewitz and limited nuclear war” apparso sulla “Military Review” 4/1975. Prioritari sembrano comunque in ogni caso i princìpi del mantenimento dell’unità di Comando e Controllo e quelli della pronta Reattività e della Sicurezza di interventoc. I “princìpi” nella “guerra rivoluzionaria” (o “sovversiva”) E’ noto che i conflitti che possono inquadrarsi nel modello della “guerra rivoluzionaria” hanno caratteri e modalità organizzativi molto variabili, in relazione all’ambiente umano e geografico, e comunque spesso assai diversi da quelli prevalenti nei conflitti “classici”. Vi può essere quindi chi ritiene che, in tale tipo di guerra, non possano considerarsi validi i noti “princìpi”. Questi, infatti, sarebbero più utili per impostare e condurre azioni complesse ed organizzate quali sono le odierne operazioni belliche; mentre la guerra rivoluzionaria e le operazioni che essa comporta (eminentemente di guerriglia) vedrebbero una prevalenza di fattori individuali, e la polverizzazione delle iniziative. Nulla di più sbagliato! Scelta opportuna degli Obiettivi, Coordinamento degli sforzi, Iniziativa, Sicurezza, Morale sono i “princìpi” la cui osservanza è evidente anche in questo tipo di conflitto. Essi sono anzi esaltati dal carattere intimamente politico della lotta. Le operazioni della guerra sovversiva trovano, è cosa ben nota un fattore di vantaggio soprattutto nella ricerca nel facile conseguimento della “sorpresa” della “iniziativa” e della “offensiva”. Si potrebbe pensare che in tale tipo di guerra sia trascurabile il principio della Massa e della Concentrazione delle forze. Ciò non è, purché s’intenda quanto diversa debba essere l’applicazione. Nel conflitto sovversivo, infatti, la parte rivoluzionaria deve tendere a provocare la dispersione delle forze avversarie (la “Manovra di Medina” di Lawrence) inducendole a violare il principio della Massa, per poi realizzare successive concentrazioni e superiorità delle proprie forze sulle disperse aliquote avversarie. Attraverso la progressiva erosione dell’avversario e l’alimentazione crescente del proprio dispositivo (vuoi da “santuari” esterni, vuoi dalle risorse locali del nemico) si tratterà di conseguire infine quel rovesciamento del morale e dell’equilibrio delle forze che consentirà alla parte sovversiva di conquistare il potere. In conclusione, in tutti i tipi possibili di conflitto i “princìpi” hanno una loro costante validità. Quello che nei diversi, però tende a variare sono la sostanza e la priorità dei vari “princìpi” in relazione ai caratteri ed alle esigenze specifiche dei conflitti medesimi.
Conclusione in merito alla validità dei “princìpi”
Non vi è dubbio che la sola conoscenza e il semplice ricorso ai “princìpi” non garantiscono certamente il successo. Secondo lo storico Piero Pieri, i veri “princìpi” sono: – i caratteri e le attività dei Comandi (morale, coraggio, immaginazione, tenacia, resistenza morale e fisica, flessibilità di giudizio e aderenza alla realtà, capacità di coordinare e trascinare all’azione, abnegazione, capacità di collaborare con altri, ecc.);
– l’efficienza degli organi di Comando, in tutti gli aspetti di informazione, collegamento, controllo;
– l’impiego coordinato delle forze; – l’organizzazione sufficiente ed aderente del supporto tecnico e logistico. A ben guardare, però, i “principi” del Pieri non sono altro che i “fattori” umani del successo, che è fatto anzitutto di superiorità umana e dei mezzi e di un migliore impiego di essi. Tuttavia crediamo che il ricorso ai principi costituisca un mezzo utile e necessario per la formazione dei Comandanti e per la loro attività. I princìpi, lo abbiamo visto, non sono concetti assoluti né norme rigorose. In qualunque operazione, la guida per qualsiasi Comandante è costituita anzitutto dal compito affidatogli e dal suo assolvimento nella migliore maniera possibile consentita dalle circostanze. Ma è senza dubbio vero che solo un’azione che nella sua concezione, organizzazione ed esecuzione si ispiri ai noti “principi” e li realizzi meglio dell’avversario può avere successo. Essi sono poi utili mezzi di misura e di giudizio critico. Ad essi fanno riferimento tutti gli esami storici e le riflessioni circa le attività nostre e altrui permettendo di acquisire e catalogare nuove esperienze. I princìpi, quindi, sono concetti di cui ci serviamo per migliorare la nostra preparazione. Essi, come abbiamo visto, sono validi in tutti i tipi di conflitto. Essi però, in differenti ipotesi e situazioni, assumono differente significato ed il loro ordine di priorità tende a mutare. I “principi” che si considerano validi ed ai quali possiamo ritenere utile riferire i nostri esami storici ed i nostri giudizi Visto il prevalente carattere di utilità pratica dei “principi” nella formazione della personalità dei Comandanti, ed in vista di realizzare la voluta unità di dottrina, potrebbe riuscire utile una definizione dei “principi” considerati di interesse prioritario. Ed a tale riguardo, pur rendendosi conto della difficoltà di mutare scelte e denominazioni ormai radicate nell’uso dei vari ambienti militari delle diverse nazioni, si vedrebbe la necessità di stabilire criteri logici per pervenire alla definizione dei “principi” da considerare “necessari”, rimanendo sempre possibile l’accettazione di altri concetti minori o corollari dei primi. Si possono ritenere “necessari” quei criteri cui è indispensabile ricorrere per qualificare una decisione o un Piano per stabilire la superiorità di una operazione nel confronto di un’altra, considerandone gli aspetti fondamentali, costituiti essenzialmente dalle:
- a) condizioni politico – militari dell’azione,
- b) condizioni che influenzano la volontà di lotta dei belligeranti,
- c) condizioni di esercizio del Comando,
- d) condizioni di vario genere che influenzano l’efficienza operativa delle forze,
- e) condizioni stabilite per l’impiego effettivo delle forze dalle successive decisioni di Comando.
In relazione a tali aspetti fondamentali appare l’esigenza di almeno nove “principi” essenziali, che saranno discussi più a lungo successivamente. Per il momento ci si limita a dire che quanto meno i primi quattro aspetti fondamentali debbono essere tradotti nei quattro “principi”, rispettivamente:
– dell’ “Obiettivo”,
– del “Morale”,
– della “Unità di Comando e di Azione”,- della “Preparazione ed Organizzazione”.
Si hanno poi altri cinque “principi” relativi ai criteri basilari per la condotta delle operazioni e che si possono vedere riferiti alle attività:
– informative,
– decisionali,
– di impiego delle forze nello spazio e nel tempo,
– volte a realizzare condizioni di particolare vantaggio sull’avversario,
– volte a sottrarre le proprie forze a condizioni di vantaggi a sua volta realizzabili dall’avversario.
Per ognuno di questi settori fondamentali di attività operative si ritiene opportuno stabilire un “principio”. Si avranno quindi i “princìpi”:
– dell’Informazione,
– dell’Iniziativa,
– della Concentrazione degli sforzi,
– della Sorpresa,
– della Sicurezza.
Il “principio” dell’obiettivo
Questo principio è riferito all’esigenza prima, politica e militare, di stabilire un obiettivo, di definirlo chiaramente a tutti come “scopo” dell’azione o come “Compito” per le unità dipendenti. Esso presuppone una idonea ed armonica proporzione nel confronto tra i mezzi disponibili e le possibilità, gli intendimenti e le azioni avversarie, nel quadro delle condizioni ambientali del momento. Così come per altri princìpi, la sua osservanza può essere considerata in assoluto o nel confronto fra le decisioni e le operazioni dei due avversari. Un Piano può infatti violare questo principio per mancanza di chiarezza nella definizione degli obiettivi; ma è generalmente l’esito del confronto sul campo che rivela l’insufficienza dei mezzi o altre condizioni scaturite da intendimenti eccessivamente ambiziosi e vanificati da un Piano avversario più adeguato e meglio eseguito. L’osservanza del principio della scelta e del mantenimento dell’obiettivo è responsabilità delle maggiori autorità politiche e militari; essa investe i Comandi Superiori nella definizione di Compiti adeguati alle possibilità effettive delle forze dipendenti. La mancanza od errata valutazione delle possibilità proprie ed avversarie è alla base di molti insuccessi.
Il “principio” del mantenimento del morale.
La guerra è essenzialmente, un ricorso alla lotta armata conseguente ad uno scontro di volontà e di interessi politici che non accettano una soluzione di compromesso. I fattori spirituali, la volontà consapevole di lotta, l’abnegazione, vi mantengono un posto prioritario. Il conseguimento di un successo presuppone, nella classe dirigente di un Paese, nei suoi Comandi e nei Quadri, l’adozione dei provvedimenti più idonei a sostenere i fattori morali (il “contatto con le masse” di Mao Tse Tung) ed a tutelarli attraverso i mezzi di comunicazione di massa di fronte alle azioni avversarie, dirette ed indirette, volte a minarli. La conservazione del morale, di un consapevole consenso popolare e di un robusto senso del dovere negli individui e nelle collettività civili e militari, nonché della compattezza nei Comandi, dello spirito di corpo e della efficienza nelle Unità , devono costituire una preoccupazione primaria e costante per i vertici politico-militari. Al fondo di grossi cedimenti sul piano strategico e tattico vi sono sempre fenomeni di cedimento del morale e della fiducia nell’esito vittorioso del conflitto. Va ancora rilevato come fenomeni di cedimento dal basso o in alcune unità possano generalmente essere contenuti e combattuti con idonei provvedimenti dall’alto. Ben altre deleterie conseguenze hanno invece i fenomeni di cedimento del morale nei maggiori dirigenti politici e militari; questi sono spesso determinanti e tali da provocare una rapidissima diffusione di stati d’animo favorevoli alla resa. Pur se doverosamente improntato ad un sano realismo, il carattere de’ Comandante deve quindi essere ottimista e tale da infondere serenità e sicurezza in tutti i dipendenti. Membri ipercritici e pessimisti degli Stati Maggiori possono costituire fonte di erosione del morale. Gran Bretagna, Unione Sovietica, Cina, Spagna sanciscono l’esistenza di questo principio. Noi ne riconosciamo l’esigenza e l’utilità.
Il “Principio” della unità di comando e d’azione.
L’esistenza di un principio che evidenzi i caratteri delle contrapposte azioni di Comando e ne consenta il confronto è di indubbia necessità. Le operazioni moderne avvengono sempre su ampi spazi, tempi ristretti e coinvolgono, a tutti i livelli, forze di vario tipo fra loro cooperanti. Tutte le forze interalleate, civili e militari, di un Paese, di varie Forze Armate, di varie Armi e Corpi, devono concorrere al successo. Ciò presuppone la ricerca costante di una “unità d’azione”. La parte che sa conseguire meglio tale “unità” ne trae felice avvio al successo. Ma tale “unità” il frutto esclusivo di una lungimirante “Azione di Comando”, sicché “Unità di Comando” ed “Unità di Azione” si possono considerare una tautologia, avere cioè lo stesso significato. L’”Unità di Comando” moderna non è certamente più quella del Comandante unico di tipo napoleonico, che da un colle dominava la scena del campo di battaglia e si riservava tutte le decisioni. L’azione di Comando si esercita tramite organizzazioni collettive, di uomini e mezzi, che garantiscono decisioni informate ed adeguate, rapidità di reazione, cooperazione. II carattere coordinato delle azioni non deve indurre, però, a considerare meno sentita l’esigenza di un potere superiore ed unico di decisione. In altre parole, la costituzione di organi collegiali o di Comandi affiancati, interforze o interalleati, non può misconoscere l’esigenza di assegnare opportune attribuzioni di responsabilità ad un’unica mente, a un Comandante in Capo o ad un massimo responsabile delle operazioni in un determinato Teatro Operativo, o per una determinata azione.
Il “Principio” della preparazione ed organizzazione.
Non vi è sicuramente bisogno di dimostrare la verità storica del fatto che l’esito di un conflitto, o di una operazione, trova molti fattori determinanti in attività precedenti all’episodio risolutore. La preparazione degli uomini e dei mezzi; gli orientamenti operativi ed ordinativi; la formazione dei Comandanti, Stati Maggiori, Quadri intermedi e subalterni, truppe ed Unità; la disponibilità di mezzi moderni; l’organizzazione efficiente di organi di ricerca, studio, approvvigionamento, riparazione e recupero; l’organizzazione specifica dell’azione strategica e tattica; l’efficienza del supporto logistico: tutti questi elementi, presi isolatamente o nel loro insieme, possono costituire motivo sufficiente di successo o di disastro. Il confronto approfondito fra due Parti in lotta può spesso far risalire proprio a questi elementi i motivi veri dell’esito, felice od infelice, dell’azione. La dottrina britannica stabilisce tale principio denominandolo “administration”. Esso può considerarsi esistente anche nella dottrina cinese, che prevede di impegnarsi nell’azione solo quando si siano realizzate, attraverso la preparazione, le condizioni del successo e si preoccupa di ricordare l’esigenza di alimentare lo sforzo con sottrazioni di risorse al nemico Noi siamo dell’avviso che non possa mancare, nell’esame di un avvenimento bellico, un giudizio espresso sulle condizioni di efficienza delle parti, e sulla maniera con cui ciascuna ha saputo organizzare le proprie forze e garantire il proprio supporto logistico. Se è vero che qualsiasi sforzo moderno è soprattutto espressione di una capacità manageriale, riteniamo che il giudizio circa la superiorità di una delle parti nel sapersi presentare al confronto con una maggiore preparazione generica e con una migliore organizzazione specifica debba essere riferito ad uno specifico principio: quello appunto della “administration” o “preparazione ed organizzazione” che dir si voglia.
Il “Principio” della “Informazione”
Del valore dell’informazione era cosciente un soldato come il Radetzky che scriveva: “Si può organizzare un esercito soltanto paragonandolo costantemente agli eserciti stranieri e conoscendo quanto avviene presso di loro”. E la folgore napoleonica era il risultato di una accorta attività preventiva di informazione circa ubicazione, entità ed efficienza delle aliquote di forza avversarie. Pur tuttavia, nel passato, l’aspetto informativo è stato per lo più inglobato nel quadro del concetto di sicurezza; mentre la decisione è stata generalmente improntata al concetto di imporre la propria volontà su quella avversaria. Ha sempre prevalso, in definitiva, la concezione volontaristica della guerra, per la quale occorreva partire all’offensiva ed imporre la propria manovra. L’avversario avrebbe dovuto, se questa era felice e veniva condotta con forze superiori e con opportune modalità, piegarsi e limitarsi a contrastarla. Questa concezione ha portato ad atteggiamenti paralleli d; contrasto, a contrapporre il “Forte” proprio al “Forte” avversario, ed a perdite enormi senza risultati corrispondenti. E’ stato merito del Liddel Hart il riconoscere ed indicare la opportunità di atteggiamenti più flessibili nella sua strategia dell’approccio indiretto, la quale mira più a piegare la volontà dell’avversario che a provocarne l’annientamento, puntando al “Debole” del nemico e tendendo a provocarne la crisi. Ma è evidente che un’azione di tal genere è consentita solo da una superiorità informativa. Questa, del resto, è anche la condizione necessaria per poter esercitare le potenti azioni di fuoco in profondità oggi possibili e per poter investire tutto il dispositivo avversario, non solo sulla linea di contatto ma anche nelle retrovie. Il valore determinante dell’informazione nel conflitto arabo-israeliano dei 1967 è stato messo in rilievo dall’Istituto degli Studi Strategici di Londra che ha visto, nella superiorità degli Israeliani in tale ambito, uno dei maggiori fattori del loro successo folgorante. II conflitto del “Kippur” del 1973 sottolineava ancora maggiormente il valore dell’informazione; la crisi iniziale israeliana era, infatti, essenzialmente il frutto di una insufficiente attività informativa. L’informazione non è solo garanzia di sicurezza. Essa è anche la condizione necessaria di una decisione felice e di manovre efficaci. L’esistenza di differenti capacità informative, non solo nei settori della ricerca e raccolta di notizie, ma anche nella loro valutazione e nel loro sfruttamento tempestivo, sono al fondo di decisioni che, ad analisi posteriori, risultano del tutto inadeguate. Ancorché non compreso fra i classici principi del passato, quella della maggiore 2informazione” appare oggi uno dei fattori più imprescindibili: per conseguire il successo.
Il “Principio” della “Iniziativa”.
Il principio della “Iniziativa” o della “Reattività” comprende in sé concetti espressi, ieri e in diversi ambienti, in altri modi, quali libertà d’azione, manovra, mobilità , offensiva. Queste denominazioni possono considerarsi tuttora adeguate in una guerra di tipo classico. E’ tuttavia noto come in ambiente nucleare, il principio dell’offensiva possa ritenersi elemento di possibile scatenamento di rappresaglie e non sempre accettabile.
Nella guerra rivoluzionaria, poi, la strategia della sovversione, che sfrutta sul piano tattico l’iniziativa, tende sul piano strategico ad essere difensiva o, come bene dice il Taber, “evasiva”.
L’importante, come affermava Mao Tse Tung, è mantenere l’iniziativa; ed in. qualche caso “afferrare” l’iniziativa significa sottrarsi con la fuga alla morsa avversaria. Nell’ambiente odierno, forze che permangono a lungo nelle medesime situazioni, o che siano state individuate, sono facilmente soggette ad offese; una situazione chiara offre all’avversario grandi possibilità di azione a ragion veduta. Il contenere i tempi di decisione, di schieramento e di intervento, di iniziativa od in reazione, rappresenta un grande fattore di vantaggio: “chi colpisce per primo, colpisce due volte”. L’inazione, oltre a presentare il fianco alle offese avversarie, non permette certamente di migliorare le prospettive di successo; sicché , se è esagerato dire che qualsiasi iniziativa è migliore della mancanza di iniziativa, è anche certo che solo l’assunzione od il mantenimento dell’iniziativa costituisce una condizione di base necessaria per stabilire le premesse di un successo.
Il “Principio” della “Iniziativa”.
Il principio della “Iniziativa” o della “Reattività” comprende in sé concetti espressi, ieri e in diversi ambienti, in altri modi, quali libertà d’azione, manovra, mobilità , offensiva. Queste denominazioni possono considerarsi tuttora adeguate in una guerra di tipo classico. E’ tuttavia noto come in ambiente nucleare, il principio dell’offensiva possa ritenersi elemento di possibile scatenamento di rappresaglie e non sempre accettabile.
Nella guerra rivoluzionaria, poi, la strategia della sovversione, che sfrutta sul piano tattico l’iniziativa, tende sul piano strategico ad essere difensiva o, come bene dice il Taber, “evasiva”.
L’importante, come affermava Mao Tse Tung, è mantenere l’iniziativa; ed in. qualche caso “afferrare” l’iniziativa significa sottrarsi con la fuga alla morsa avversaria. Nell’ambiente odierno, forze che permangono a lungo nelle medesime situazioni, o che siano state individuate, sono facilmente soggette ad offese; una situazione chiara offre all’avversario grandi possibilità di azione a ragion veduta. Il contenere i tempi di decisione, di schieramento e di intervento, di iniziativa od in reazione, rappresenta un grande fattore di vantaggio: “chi colpisce per primo, colpisce due volte”. L’inazione, oltre a presentare il fianco alle offese avversarie, non permette certamente di migliorare le prospettive di successo; sicché , se è esagerato dire che qualsiasi iniziativa è migliore della mancanza di iniziativa, è anche certo che solo l’assunzione od il mantenimento dell’iniziativa costituisce una condizione di base necessaria per stabilire le premesse di un successo.
Il “Principio” della concentrazione degli sforzi.
Il De Cristoforis indicò a suo tempo in quello della superiorità della Massa l’unico vero “principio” e la sola garanzia del successo. Ancora oggi questo principio può considerarsi valido sebbene la potenzialità delle offese possibili escluda l’opportunità di realizzare grosse concentrazioni di forze.
Sicché, attualmente, sembra più proprio parlare di “concentrazione di sforzi”, realizzati da forze spesso di diverso tipo e variamente dislocate, frazionate e disperse. Il concetto di concentrazione sembra anche comprendere in sé quelli di “economia delle forze” e di “decisione del punto e del momento di applicazione dello sforzo”. Infatti, il principio della concentrazione degli sforzi per un determinato scopo non è mai disgiunto dall’esigenza di economia in altri settori o dalla necessità di far concorrere azioni secondarie verso l’obiettivo principale; così come non può considerarsi distinto da esigenze di decisione circa il punto ed il momento della concentrazione e della direzione degli sforzi. Infine, piuttosto che di sole forze, l’azione moderna è il risultato di “sforzi”, cioè di attività di mezzi ed unità mobili e potenti, i cui effetti, più che con l’Urto e il Movimento, sono ottenuti con il Fuoco a distanza, opportunamente diretto e informato, deciso e tempestivamente eseguito. II concetto di superiore concentrazione degli sforzi non può mai considerarsi riferito ad una mera sommatoria degli uomini e dei mezzi posseduti dai contendenti e ad un loro generico confronto numerico. L’esito delle battaglie e dei combattimenti è determinato dal confronto delle “concentrazioni degli sforzi” effettivamente realizzati sul terreno nei tempi più contratti. Ciò è stato posto bene in rilievo dai conflitti arabo-israeliani nei quali, ad una netta inferiorità delle forze ebraiche, corrispondeva però una loro maggiore capacità di realizzare successive concentrazioni di sforzi potenti, coordinati e tempestivi. La superiorità nella concentrazione degli sforzi è consentita sia da una migliore informazione, cui conseguano accorte e tempestive decisioni, sia da una maggiore capacità di realizzare concentrazioni di interventi, da parte di mezzi di fuoco potenti, mobili, largamente dispersi. Sul piano esecutivo sono oggi elementi favorevoli ad una superiorità degli sforzi la potenza, la gittata e la tempestività di intervento. Costituisce elemento favorevole anche la mobilità strategica mentre la mobilità tattica rappresenta soprattutto un elemento di tutela della sicurezza, attraverso il frequente cambio di postazione delle “sorgenti” di fuoco, o di dislocazione delle minori unità.
Il “Principio” della “Sorpresa”.
II concetto di sorpresa non va ristretto solamente alla realizzazione dell’inatteso sul piano tecnico-tattico, come spesso viene configurato. Indubbiamente l’introduzione in servizio di nuovi mezzi o la condotta dell’azione in momenti e con modalità inattese possono provocare successi importanti. Ma la sorpresa veramente efficace quella d’ordine strategico, rappresentata dalla costituzione di una propria massa e dalla sua concentrazione in luoghi ed in direzioni tali da consentire una progressione di successi cui l’avversario non possa contrapporre rimedi efficaci e tempestivi a causa di una diversa dislocazione delle proprie forze e riserve, schierate in funzione di diversi intendimenti propri o perché indottovi da un nostro “Piano d’Inganno”. La sorpresa tattica esaurisce presto i suoi effetti e le sue conseguenze. La sorpresa strategica vede, invece, i suoi effetti moltiplicarsi non tanto per la gravità dell’inatteso quanto per la coscienza, ingenerata nell’avversario, di non avere alcuna possibilità di contromanovra adeguata e tempestiva, e per la crisi morale conseguente, soprattutto nei maggiori livelli di Comando, i quali per primi e maggiormente avvertono gli effetti di tale sorpresa. L’efficacia del fuoco moderno esclude o rende onerosa la possibilità di successo di sforzi individuati, anche se di grossa entità. Ne consegue la necessità di ricorrere a tutti i fattori ambientali, naturali ed artificiali, che possono fornire un vantaggio, ed a tutti i fattori di sorpresa idonei a facilitare il successo. Esiste inoltre l’esigenza di contrapporsi alle estese possibilità informative dell’avversario; anzi, poiché si può ritenere che a questi non possano sfuggire molti indizi, deve ritenersi necessario che, parallelamente ad ogni decisione operativa, sia portato avanti un Piano d’Inganno capace di intossicare o depistare i servizi informativi del nemico inducendolo a preparativi che lo mettano in maggiore difficoltà di fronte alla nostra manovra. L’osservanza del principio della sorpresa deve considerarsi elemento di particolare interesse in qualsiasi tipo di conflitto. Esso sarebbe di prevalente interesse anche in un eventuale conflitto nucleare. La sorpresa costituisce infine il maggiore elemento di vantaggio ricercato dalle formazioni rivoluzionarie nelle loro azioni offensive. Vi anche chi sostiene che la sorpresa non sia accettabile in ambiente nucleare potenziale, in quanto il ricorso ad essa potrebbe provocare lo scalamento nelle azioni e reazioni. Alcune fonti affermano quindi che al principio della “sorpresa” dovrebbe sostituirsi il principio della “reattività. Va rilevato, però, come la rinuncia alla sorpresa sia limitata al campo della “strategia di dissuasione”, che tende ad evitare il conflitto, e non interessi invece la “strategia dell’impiego”. Inoltre, l’effetto dissuasivo _ come giustamente sottolineava il Beaufre _ è essenzialmente conseguente ad una “minaccia” e questa, oltre ad essere “potente” e “credibile”, deve mantenere l’avversario nella, “incertezza” _ come vuole il Kissinger. Ma il mantenere l’avversario nella “incertezza” non si traduce forse nell’essere, per disponibilità e tipo di mezzi, in condizione di poter esercitare in qualsiasi momento una sorpresa? Sorpresa che, nel particolare ambiente, può essere intesa in perfezionamenti tecnici o in superiorità di tempi di reazione, precisione od altri elementi di ordine scientifico-tecnologico, cui l’avversario non possa contrapporre misure di contrasto non tanto perché i primi siano “inattesi” ma in quanto al di là delle proprie possibilità di risposta. Uno degli aspetti più ricercati della sorpresa, quindi, è la possibilità di introdurre in campo operativo, ciò su scala abbastanza larga da essere significativa, nuovi mezzi che consentano decisivi successi, successi resi possibili proprio dalla “sorpresa” costituita dal mettere l’avversario nella condizione di non aver modo di contrapporre mezzi efficaci. Questo tipo di sorpresa, nel conflitto moderno, molto ricercato per effetto dell’accelerazione della evoluzione scientifico-tecnologica e del carattere industriale assunto dalla guerra odierna. E’ vero, tuttavia, che su questo piano non è agevole conseguire effetti veramente decisivi. Spesso l’introduzione di nuovi mezzi non viene effettuata in quantità sufficiente ad ottenere risultati determinanti, sicché l’avversario può ricorrere ad uno sviluppo di contromisure non solo sul piano tecnico-produttivo ma anche su quello tattico. E’ chiaro, comunque, che il campo di applicazione della sorpresa e dell’inganno è particolarmente vasto. La sorpresa costituisce un elemento assolutamente necessario per il successo; essa è ricercata da entrambi gli avversari ed il successo è spesso condizionato da suo conseguimento.
Il “Principio” della “Sicurezza”
II principio della sicurezza è corrispondente a quello della sorpresa come l’altra faccia di una moneta. La sua applicazione tende a sottrarci alle condizioni di vantaggio che l’avversario può realizzare nei nostri riguardi con qualche atto, mezzo, modalità, luogo, direzione, momenti inattesi al di fuori ed al di là delle nostre possibilità reattive. In altri tempi la sicurezza era garantita soprattutto da una opportuna distribuzione delle forze sul terreno e dalla costituzione di dispositivi d protezione. Oggi la sicurezza delle nostre forze e delle loro attività può essere intaccata da una pluralità di mezzi e di offese (elettroniche, NBC esplosive, di propaganda, rivoluzionarie, ecc.) esercitabili in profondità ed in tempi ristretti. Le condizioni di impiego delle forze possono così mutare piuttosto rapidamente. I provvedimenti protettivi di sicurezza vanno integrati da dispositivi ed orientamenti atti a realizzare, in qualsiasi circostanza, il massimo di “equilibrio”. Si debbono considerare con sano scetticismo le soluzioni troppo originali, le distribuzioni di forze regolate con il bilancino per azioni “ad hoc”. Si deve invece ricorrere a formazioni standardizzate con forze abituate alla cooperazione ed operanti secondo procedure stabilizzate, che possono offrire qualche garanzia di persistenza in un ambiente molto variabile. E’ necessario, altresì, abituare i Quadri all’introduzione rapida di nuovi mezzi ed alle variazioni organiche e tattiche volte alla ricerca di risposte valide di fronte all’inatteso ed al nuovo . La sicurezza non è, quindi, qualcosa da garantire solo con il dispositivo e con l’impiego di aliquote specifiche di forze, ma è anche una capacità reattiva di tutte le strutture, non disgiunta da un orientamento mentale verso la flessibilità e la prontezza ad accettare nuove situazioni e nuove soluzioni, rese necessarie da nostri diversi disegni o dall’azione avversaria. In altre parole, in tempo di pace ed ancor più in tempo di guerra, gli ambienti bellico e militare moderni sono dominati da continue variazioni strutturali. Gli organismi delle Forze Armate, che sono generalmente caratterizzati da forti isteresi, non possono più essere orientati alle guerre del passato. Essi devono essere costantemente aggiornati al presente e pronti a puntare o reagire verso i minimi cenni delle prospettive future. Le esigenze conseguenti sono di ordine tecnico e logistico; ma, prima di tutto, sono di orientamento mentale e di preparazione dei Quadri alla pronta accettazione del nuovo ed alla definizione, anche personale, di proprie risposte alle nuove esigenze.