Georges de Pimodan
Nato a Parigi nel 1822, morto a Castelfidardo nel 1860
Generale, Esercito Pontificio.
Capo di Stato Maggiore.
Uno dei protagonisti della Battaglia di Castelfidardo combattuta tra Sardi e Pontifici il 18 settembre 1860 fu Georges de Pimodan, capo di Stato Maggiore dell’Esercito Pontificio. Grazie alla sua abilità ed al suo coraggio le truppe papali in quella battaglia riuscirono a eseguire con abilità e raziocinio il piano elaborato il 17 settembre a Loreto dal Comandante in capo Generale de La Morcière. Il coraggio e l’ardire delle brigate d’attacco condotte dal de Pimodan permisero il conseguimento del successo tanto che si può dire, ad una analisi attenta della battaglia, che i pontifici a Castelfidardo avevano vinto. Infatti costrinsero l’estrema ala delle truppe Sarde prima ad indietreggiare poi ad attestarsi a difesa. Una azione decisa per lo sfruttamento di questo successo mancò e si permise ai Sardi di fronteggiare la situazione e poi far affluire rinforzi che capovolsero l’esito finale dello scontro che determinò infine la sconfitta pontificia del 18 settembre 1860. Merito principale di questo onorevole comportamento è da attribuire al Generale de Pimodan. Ma chi era realmente questo generale che sul campo dimostrò come le truppe al servizio di Pio IX erano all’altezza del compito a cui erano chiamate, cioè difendere il potere temporale del Papato?. Georges de Rarecourt de la Vallèe Marchese de Pimodan, nacque a Parigi il 29 gennaio 1822, secondogenito di Camillo, Marchese de Pimodan, Capitano di Cavalleria e gentiluomo di Camera del Re e di Claire de Frènilly.
L’adolescenza e la giovinezza.
Allevato con amore dai genitori, riceve le prime lezioni di latino e francese direttamente dalla madre. Nel 1828 secondo la tradizione, gli viene assegnato un precettore, il Conte di Crecy, giovane gentiluomo senza patrimonio ma dai sani e saldi principi morali. Georges si rileva uno scolaro diligente, attento, pur nella vivacità della sua età. Gli eventi del 1830 in Francia influirono nella vita dei de Pimodan. Essi si consideravano fedeli servitori della famiglia dei Borboni e consideravano Luigi XVIII il solo legittimo Re di Francia, l’unico a cui accordare fedeltà ed obbedienza. L’evolversi degli avvenimenti in Francia e lo stabilizzarsi di una nuova situazione politico sociale fece, di conseguenza, decidere i padre di Georges di cambiare radicalmente la propria condizione. Infatti vendette la tenuta di Bourneville e tagliò ogni legame con la Corte di Filippo. Dopo vari viaggi in Germania e in Austria, decise di stabilirsi nelle proprietà di famiglia dell’Alta Marna, sdegnoso di ogni avvicinamento con Parigi. E’ di questo periodo l’intensificarsi dei rapporti con il mondo asburgico della Famiglia De Pimodan. E’ naturale quindi che Georges nel 1833 venisse mandato al Collegio dei Padri Gesuiti di Friburgo affinché assorbisse quei valori in cui il padre fermamente credeva. Vi rimase tranne il periodo delle vacanze estive, fino al 1837. Presso i Padri Gesuiti dimostrò ancora un carattere aperto, gaio, allegro, cameratesco; inizia a manifestare un attaccamento alla religione cattolica degno di nota. Al termine del ciclo di studi collegiali esterna l’intenzione di intraprendere la carriera delle armi. Si reca, con apposite lettere di presentazione, alla prestigiosa accademia militare di Saint Cyr e ne trae favorevole impresione. Sono gli anni in cui l’esercito francese è alla conquista dell’Algeria; le notizie dal Nord Africa accendono la fantasia del giovane de Pimodan. Sembra che ogni cosa possa assecondare le aspirazioni di Georges, ma al momento di chiedere l’iscrizione alla Accademia la famiglia accampa i suoi diritti e i suoi principi. I de Pimodan, realisti, non possono accettare che il loro secondogenito entri nelle file dell’Esercito francese e servire un Re che loro non considerano altro che un usurpatore. Il contrasto è forte tra padre e figlio; molto tempo viene speso in questo contrasto; alla fine una soluzione viene trovata: nel rispetto della lealtà ai Borboni Georges accetta di intraprendere la carriera delle armi nelle fila dell’Imperial Regio Esercito austriaco. Il 17 marzo 1841 lascia la Francia per raggiungere l’Austria.
La carriera militare.
A 19 anni, come cadetto, entra nel Reggimento dei Cavalleggeri del Principe Windisch-Graetz. A quell’epoca i reggimenti austriaci ancora portavano il nome dei loro colonnelli ” proprietari “, anche se questa usanza e sistema era ormai al suo tramonto. Il reggimento che accolse Georges era uno dei più noti e più titolati d’Austria e si vantava di avere avuto lo stendardo direttamente da Maria Teresa. Le tradizioni erano molto sentite e tenute in grande considerazione. A differenza dei reggimenti di fanteria e di artiglieria, durante il tempo di pace, quelli di cavalleria avevano i loro plotoni e sezioni disseminati in tutto il territorio di stanza. Questo fece sì che Georges passò i suoi primi anni di vita militare semi-isolato, solo con i suoi soldati, in paesini sperduti lontano dalle città e dalla vita societaria allora particolarmente sensibile al fascino della divisa. Il 22 giugno 1842 al termine di un duro tirocinio, viene nominato Secondo Tenente. Quattro anni dopo, nel 1846 viene promosso Primo Tenente; sono quattro anni passati in attesa delle manovre annuali, ove ogni componente del reggimento voleva dimostrare sul terreno di manovra la superiorità del proprio reparto. La vita di de Pimodan in questo periodo è essenzialmente la vita di un giovane uffciale di un Reggimento di cavalleria in presidio, ove le giornate di routine erano troppe rispetto a quelle ove si poteva dimostrare la propria superiorità di fronte alla fanteria ed all’artiglieria. Il 6 agosto 1847 il Reggimento di Windisch-Graetz riceve l’ordine di spostarsi in Italia. La situazione nel Lombardo-Veneto non è delle migliori ed a Vienna viene deciso di rinforzare il dispositivo militare nei territori meridionali dell’Impero. Il Reggimento, dopo un viaggio di trasferimento durante il quale de Pimodan ha il primo contatto con l’Italia, prende stanza a Verona, città chiave dello schieramento presidiario austriaco. A Verona il giovane Tenente inizia a scrivere degli appunti e delle note per la sua famiglia che invia regolarmente. Sono note stese alla sera, durante i bivacchi, che non hanno altro scopo che informare i suoi. Il padre fa vedere questi scritti a François Buloz, direttore della “Revue des deux Mondes”, che decide di pubblicarli. La situazione in Italia precipita nella primavera del 1848. Il primo maggio 1848 a Milano si ha la manifestazione “dei sigari” durante la quale la tensione sociale raggiunge punte molto elevate. De Pimodan, dopo aver ricevuto il grado di capitano, viene aggregato allo Stato Maggiore del Generale Radestzky. E’ chiamato a svolgere delicate missioni di carattere informativo, mettendo in mostra doti di coraggio, e di freddezza di fronte al pericolo. Alla fine dell’anno, quando la situazione sembrava stabilizzarsi, de Pimodan viene di nuovo assegnato al suo reggimento, in procinto questo di raggiungere l’Ungheria, ancora in preda alla rivoluzione. De Pimodan partecipa alla campagna contro i ribelli ungheresi, distinguendosi tra l’altro alla battaglia di Moor. Nel prosieguo delle operazioni viene fatto prigioniero e rinchiuso nella fortezza di Peternendein; cerca di evadere e di organizzare delle ribellioni fra i prigionieri e per puro miracolo non viene fucilato. Nel settembre 1849 viene liberato e riprende servizio; subito dopo è promosso Maggiore. Gli anni 1847-1849 sono passati in maniera molto movimentata, che fanno apprezzare gli anni successivi a De Pimodan. La promozione a Maggiore, la normale routine di caserma, gli permettono di dedicare molto tempo al riordino dei suoi appunti, che pubblica sotto i titoli di “Souvenir d’Italie” e “Souvenir de Hongrie”, pubblicazioni che hanno una certa risonanza. Il 9 gennaio 1851 passa al Reggimento di Ulani del Conte Wallmoden. Con questo reggimento dopo aver svolto vari incarichi anche di ordine pubblico, nel luglio 1854 viene mandato in Polonia. Era stato da poco promosso Tenente Colonnello. Così, nella sua biografia vengono riportate le impressioni tratte dalle operazioni in Polonia: “Au mois de juiliet 1854, le regiment tut dirigé vers la Pologne. On marchaìt vers le nord-est. Le 15, il passa les monts Carpathes. Arrivé au sommet, écrit Pimodan, je vis des bois de sapins noirs, des montagnes éclairées d’un jour faux comme quand le soleil se montre à travers la pluie. Sur la lisière d’un bois était une femme vetue de toile grossière qui avait l’air d’une sauvage; plus loin, sur la gauche, une cabane enfumée; peu apres, une petite auberge tenue par un juif….
Première impression de la Pologne!. L’mpression fut meileure le 4 aout suivant. Georges s’était rendu individuellement à Cracovie pendant un arret des troupes. Il visita les monuments, les églises, les tombeaux des rois. La tombe de Sobieski, le héros polonais qui sauva l’Autriche et l’Europe de l’invasion musulmane, l’attira surtout. De plus, Sobieski avai épousé une Française. Partout le souvenir de la patrie suivait Pimodan. Les moindres choses qui s’y rattachaient l’émouvaient profondément. Le 11 aout, à Tarnov, il logeait dans le chateau du prince Sanguszko”. E’ interessante notare questo aspetto della vita di de Pimodan. Nato in Francia da famiglia francese, educato in Germania, vive la sua vita militare in Austria; soggiorna per motivi di servizio in Italia, in Ungheria, in Polonia e in Russia; ne traduce in scritti le impressioni delle genti e dei luoghi che vede. E’ un aspetto che permette di vedere in lui un uomo dalle idee aperte, sovrannazionali, quasi con un profilo cosmopolita. Prima di partecipare alle operazioni in Russia Georges de Pimodan contrasse le nozze con Gabrielle de Couronneel, da cui ebbe due figli. Il 1855 fece maturare in de Pimodan la decisione di por termine alla sua partecipazione alla vita militare. Il 25 ottobre 1855 e in visita di commiato alla Corte di Vienna e viene ricevuto dall’imperatore Francesco Giuseppe. Per i suoi servizi e il suo brillante stato di servizio il 20 novembre 1855 viene nominato Colonnello nell’esercito imperiale. Lasciata l’Austria, prende alloggio nelle sue proprietà in Francia e si dedica esclusivamente alla famiglia, ai viaggi, agli studi. Pubblica tra l’altro un libro di argomento militare incentrato sull’impiego della cavalleria. La vita trascorre serena fino a quando nell’aprile 1860 decide di riprendere il servizio militare rispondendo all’appello della Santa Sede.
Generale di Pio IX.
Nel 1860 la situazione in Italia era di nuovo molto fluida. Gli avvenimenti dell’anno prima avevano portato alla perdita della Romagna e a Roma non si era ancora rinunciato ad una azione tendente al recupero delle provincie perse. Pro Ministro per le armi nel 1860 era Monsignor De Merode, un belga già ufficiale nelle Armate francesi. De Merode era l’anima della volontà di ripristinare l’integrità dello Stato e di difenderlo con ogni mezzo, comprese le armi. In questa prospettiva era essenziale avere un esercito pronto ed efficiente. Nell’aprile 1860 De Merode decide di chiamare a Comandante in capo il Generale de La Moriciére; questi accetta e viene nominato capo delle Forze papali. Vuole però al suo fianco il de Pimodan, che accetta. Nella Pasqua del 1860, insieme ad altri legittimisti e cattolici di tutta Europa, viene stabilito il Comando a Roma. II lavoro è difficile ed arduo; tutti si rendono conto che è una lotta contro il tempo voler realizzare un Esercito efficiente e forte in grado di resistere ad un attacco da oltre frontiera. De Pimodan traduce in azione tutte le idee e le indicazioni del de La Moriciére. Miglior capo di Stato Maggiore non poteva essere. Nel maggio 1860 de Pimodan ebbe modo di distinguersi. Garibaldi, partito da Quarto, con i suoi Mille volontari e mancando di munizioni e di carbone, su consiglio di Giuseppe Bandi decide di approdare sulla costa tra Orbetello e Talamone. Nel contempo decide anche di porre in essere una impresa che indirettamente possa aiutare la sua in Sicilia. Sbarca circa 60 volontari al comando dello Zambianchi con il compito di portare la rivoluzione nello Stato Pontificio. Lo Zambianchi ha poca fortuna: varcato il confine occupa il villaggio di Grotte e si attesta a difesa in attesa che la rivoluzione prenda piede. Viene invece sorpreso dal Colonnello de Pimodan che alla testa di 60 gendarmi pontifici in un breve combattimento disperde e ricaccia oltre confine i volontari garibaldini. Nello scontro cade, tra gli altri, un fratello di Felice Orsini. Per questa azione, molto importante sotto il profilo tattico in quel maggio 1860 de Pimodan viene promosso Generale di brigata. Il resto dell’estate viene speso in manovre e addestramenti. Ai primi di settembre la situazione precipita. Garibaldi il 7 settembre entra a Napoli e non nasconde il suo progetto di marciare su Roma. Quattro giorni dopo l’esercito Sardo invade lo Stato pontificio, con lo scopo di scendere a Sud. Il Comando pontificio ha una reazione pronta ed efficace. Marcia con le sue tre brigate operative, stanziate in Umbria su Ancona, al fine di resistere in attesa dell’arrivo degli austriaci e dei francesi. Fu in questa marcia verso Ancona, ove i soldati dimostrano l’alto grado di addestramento raggiunto, che de La Moriciére e de Pimodan raccolgono i frutti del loro lavoro. Hanno in campagna un esercito che sa muoversi ed operare in breve tempo, con efficacia. Il 17 settembre i pontifici sono a Loreto e constatano che la via per Ancona è sbarrata dai Sardi e si decide di dare battaglia. Una brigata, al comando del de Pimodan deve impegnare i Sardi; nello stesso tempo dare la necessaria copertura al resto che dovrebbe defilare indisturbato ad Ancona. L’azione riesce. Alle ore 11 del 18 settembre la brigata condotta dal de Pimodan tiene la sommità di Colle Oro; anche se fortemente impegnata, ha creato le condizioni per far defilare il resto delle truppe su Ancona, L’ordine pero non giunge e questa indecisione sarà fatale ai pontifici. In un contrattacco, l’ennesimo, de Pimodan è ferito a morte. In un primo momento viene soccorso dai medici pontifici, poi caduto prigioniero, da quelli sardi. Si tenta un intervento; la ferita è così grave che de Pimodan, nella notte tra il 18 e il 19 settembre muore. La figura del de Pimodan è emblematica. Militare, ha una carriera brillante e densa di soddisfazioni. Ritiratosi, svolge una intensa attività di studio e di ricerca. Nel 1860 accorre a difesa della Santa Sede. La sua partecipazione a questa difesa dall’aprile al settembre 1860 fu attiva ed intelligente. Con l’episodio delle Grotte nel maggio dimostra tutte le sue qualità militari, facendo palese il fatto che la Rivoluzione poteva essere non solo vinta ma sconfitta solo se si avesse un potere centrale in grado di dare chiare disposizioni e piani precisi. Negli avvenimenti del settembre dimostra che lo strumento militare pontificio e all’altezza della situazione; durante la battaglia di Castelfidardo, il 18 settembre, si comporta da eroe. Anche attraverso la figura del de Pimodan si possono avere chiare indicazioni che l’esercito pontificio sotto il pontificato di Pio IX, o almeno dalla riforma del 1850, non era quella banda di raccogliticci elementi che la storiografia tradizionale ha cercato di accreditare ma un esercito in grado di assolvere i suoi compiti. Compiti che erano chiari: fronteggiare la rivoluzione all’interno e tenere la situazione per un certo tempo affinché le potenze cattoliche potessero intervenire in caso di attacco esterno. Cosa che fece, grazie anche al de Pimodan, nella campagna del 1860.